Devo ammettere che non mi stancherò mai di ascoltare la musica dei Domo Emigrantes; mi fa stare bene, mi fa sentire a casa. La band, che seguo da tempo, ha uno stile caratterizzato da un mix di musica popolare e tradizionale mediterranea e da un “etno-jazz” colto che è difficile da collocare ma che possiede un filo conduttore riconoscibilissimo: il gusto per la melodia tradizionale, la ritmica, la danza, l'iteratività. Una miscela di suoni che spaziano dalle sonorità solari del nostro mediterraneo alle influenze greche passando per gli altopiani curdi, pienamente in linea con la sonorità gioiosa della scuola rock napoletana impreziosita dalla eleganza melodica e poetica della scuola catanese (Battiato in primis). Una ricerca delle tradizioni, dei suoni ancestrali che fanno muovere il corpo, del dialetto come abilitatore sociale ante litteram.
La formazione è costituita da 6 polistrumentisti sopraffini di estrazione diversa che favorisce le contaminazioni e gli incontri di culture, il mescolarsi di gusti diversi portando un “arricchimento” che si riesce quasi a toccare ascoltando la perfetta fusione dei brani. Un violino ed un violoncello che creano la base ritmica combinandosi chimicamente con le percussioni etniche... Gli strumenti a corda, chitarre, bouzuki, mandolini, tembur e quant’altro si possa immaginare, a far le melodie usando colori sempre nuovi… Una fisarmonica che si alterna alla zampogna per dar corpo alle scenografie sonore … Flauti e scacciapensieri che prendono magicamente vita arabescando i ritornelli … Tutti lavorano assieme, tutti offrono il loro apporto in termini di idee, tutti accolgono gli stimoli degli altri con una concezione di “gruppo aperto” dimostrata dai tanti e diversi ospiti che contribuiscono alla ottima riuscita del disco. I brani che più mi hanno colpito sono le ballate di sapore medio orientali, in particolare Rewi, che mi hanno stimolato un ascolto diverso dal solito, talvolta ipnotico, sempre intenso nei suoi ritorni e suggestivo nelle riprese, e le classiche tarante pugliesi che risulta impossibile ascoltare comodamente seduti in poltrona (La fuga della taranta). Bella anche la rivisitazione della tradizione siciliana di Mi votu... e mi rivotu e le varie “ballad” tra cui spiccano Aquai, che dà il titolo al disco, dove la contaminazione si espande in modo assolutamente imprevisto accogliendo la partecipazione del cantante togolese Arsene Duevì e del suo coro in lingua Ewe, e Mari Nostru che vede la collaborazione della interprete siciliana Ciatuzza (Giada Salerno) che assieme alla voce di Torre racconta le speranze e le delusioni di chi lascia una patria alla ricerca di un giorno nuovo. Aquai (“qui”), una musica dalla architettura complessa ed allo stesso tempo immediata, che affascina per la sua capacità di coinvolgere in modo globale ed autentico; un bel disco che apre nuovi orizzonti nel panorama musicale italiano che sarebbe opportuno esplorare.
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Stefano Torre (voce, chitarra, bouzuki, mandolino, friscalettu, zampogna) Filippo Renna (voce, tamburi a cornice, percussioni) Ashti Salam Abdo (voce, percussioni, saz- tembûr) Calogero La Porta (fisarmonica) Andrea Dall’Olio (violino) Gabriele Montanari (violoncello)
Anno: 2017 Label: Domo Emigrantes Genere: World Music
Tracklist: 01. Addhrai 02. Rewi 03. Mi votu 04. La fuga della tarantola 05. Maddalusa 06. Vals Azul 07. Sal'entu 08. Mari nostru 09. Aquai
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