Home Recensioni Album Marillion - An hour before it’s dark

Marillion
An hour before it’s dark

Avevo avuto il piacere di farmi stupire dai Marillion con il loro precedente FEAR, oramai 6 anni fa, (vedi qui mia recensione) e non pensavo di poter ritrovare un tale impatto di sensazioni positive in un nuovo lavoro della storica band. In effetti c’è molto di buono in questo album, tanto da voler riprendere le stesse parole di sei anni fa che ben esprimono il mio pensiero: “questo disco è eccellente, raggiunge una qualità sia musicale che letteraria veramente inaspettata”.
Che i Marillion avessero superato il neo-progressive “genesisiano” degli esordi degli anni ’80 lo si sapeva da tempo, ma la sorpresa è scoprire una vena che, invece che farli cadere nell’oblio, ha rifondato la loro credibilità e li ha portati, passo dopo passo, in un percorso di crescita verso un più alto e moderno livello di consapevolezza. Percorso che può essere fatto nascere con l’arrivo di Hogarth che ha via via aggiunto ad una già eccellente band un aspetto intimista e narrativo che è oramai diventato il loro brand distintivo. Neppure due anni di pandemia hanno distratto la band, anzi, sono stati lo stimolo per ulteriormente affrontare temi sociali importanti come la minaccia di una malattia da cui non ci si può difendere o come superare l’emergenza ambientale e le sue conseguenze e proporre un proprio manifesto-monito verso un doveroso e necessario cambiamento culturale dove tutti noi dobbiamo diventare protagonisti.

Ma vediamo le caratteristiche di tale percorso di crescita.
Innanzi tutto, la costruzione dei brani segue un flusso continuo di “frame” a formare quasi un film narrativo o una “piece” teatrale fatti di suoni che evocano di immagini.
Per ottenere ciò, i testi e la musica si sorreggono a vicenda alternando atmosfere intimiste a momenti ritmicamente sincopati, lo spartito unisce semplicità e complessità sinfonica formando una matassa di frammenti e schemi sonori che di incastrano con inserti di virtuosistici assoli.
Le liriche affrontano sempre più spesso temi legati alla vita quotidiana ed alle tematiche sociali e politiche ed economiche che caratterizzano il nostro tempo, spesso collegandosi tra loro a comporre un unico discorso.
La voce di Hogarth, infine, sembra avere un legame diretto con la contemporaneità e l’evoluzione del gusto, una voce più sussurrata che urlata che ben sottolinea e accompagna lo schema compositivo e riesce a soddisfare diverse generazioni di ascoltatori.

Tutti questo temi li ritroviamo in questo nuovo album che ha le sue radici in F.E.A.R. anche se utilizza toni più sereni e che ispirano ottimismo. Il mondo è sull’orlo del baratro ma per la band siamo ancora in tempo per risollevarci se iniziamo da subito ad agire per il meglio. Quindi non un “depressive rock” post-moderno ma Musica come spunto di miglioramento e di aggregazione.

Il pezzo che meglio rappresenta questa vena e l’attuale “mood” dei Marillion è “Sierra Leone”, forse il mio preferito, un racconto fatto di vari momenti (o movimenti visto che a tutti gli effetti si tratta di una suite) che alternano una ritmica “aperta”, raffinata e fresca con percorsi sinfonici e rallentamenti lirici sottolineati dagli assoli di chitarra. Una vera e propria passeggiata attraverso sonorità già sperimentate ad esempio nel citato “FEAR”, anche se con atmosfere meno “dark”, ma anche nei più lontani “Brave” e “Marble”. Eccellenti le soluzioni melodiche del pianoforte dell’imprescindibile Mark Kelly e le costruzioni armoniche, arricchite di arpeggi rarefatti, della chitarra di Rothery che ben accompagnano la vocalità di Hogarth. Una musica-racconto che ci stimola l’immaginazione, ci porta dentro una storia con una morale, ci fa immedesimare con essa. Siamo noi i minatori che trovano il tesoro e vivono il dubbio di cosa farne: metterlo a frutto vendendolo oppure tenerlo come espressione della ricchezza della Terra e della bontà di Dio che lo ha disvelato. Un sincero richiamo all’eticità ed onestà che il genere umano deve conquistare.

Altro brano notevole è “The crow and the nightingale” che inizia con una bellissima corale, accompagnata dal piano, che ci porta immediatamente nelle atmosfere di “Brave” anche se con caratteristiche più solide e sicure come interpretazione e melodia. Un ottimo esempio della perfezione sintattica delle composizioni degli attuali Marillion che riescono ad essere allo stesso tempo leggere e coinvolgenti, equilibrati nei suoni e nei cambi di ritmo dell’imponente e precisa sezione ritmica di Trewavas e Mosley. Intenso anche l’omaggio a Leonard Cohen paragonato ad un usignolo rispetto al corvo gracchiante/Hogarth. Ottima anche la chiusura delicata con le chitarre che prendono il sopravvento offrendo una sonorità pulita ed armoniosa.

Meno affascinante la prima parte dell’album dove, ad eccezione del delicato passaggio di “Only a Kiss” i brani risultano un po’ troppo omogenei nella loro lunga esecuzione. Brani “tipici” dei Marillion ma un po’ troppo monocordi ed ovattati, prolissi, difficili da distinguere uno dall’altro. Ovviamente si lasciano ascoltare … ma come grazioso sottofondo.

A chiudere l’album, invece, un’altra perla. “Care” sostenuto da un ritmo “funky” e da un continuo ripetersi e rincorrersi in alternanza degli strumenti e della voce che mi ha ricordato gli ultimi Genesis. Qui però troviamo un maggior senso di insicurezza, voluto dalla band, che porta l’ascoltatore a sentirsi come un funambolo che oscilla sulla corda per il continuo bilanciamento che i contrappesi rendono necessario. Altrimenti si cade. Altrimenti non ci si salva. E la giusta ricompensa è arrivare alla fine del brano con la celebrazione del coraggio e dell’eroismo di tutti i medici, gli infermieri, i volontari che hanno aiutato gli altri durante la pandemia. Giusto tributo ed allo stesso tempo esempio di cosa significhi essere “vivi” nel proprio tempo.

Nel complesso un disco che ha molti meriti e che riesce a portare messaggi senza cadere in una facile retorica. Un altro tassello in attesa di essere stupiti alla prossima tappa del viaggio dei Marillion.

Steve Hogarth: voce
Pete Trewavas: basso
Mark Kelly: piano e tastiere
Ian Mosley: batteria
Steve Rothery: chitarra

Anno: 2022
Label: earMusic
Genere: Prog Rock, alternative rock

Tracklist:
01. Be hard in yourself 9:23
02. Reprogram the gene 7:00
03. Only a kiss 0:40
04. Murder machines 3:52
05. The crow and the nightingale
6:30
06: Sierra Leone 10:54
07. Care 15:20




Banner

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie nel sito e leggere come disabilitarne l’uso, leggi la nostra informativa estesa sull’uso dei cookie .

Accetto i cookie da questo sito.