Cosa rimane degli Yes dei tempi gloriosi? Molto poco.
Lo testimonia tristemente questo ennesimo live che, nel coacervo di titoli assolutamente superflui prodotti dagli inglesi da "Heaven & Earth" in poi (QUI la recensione dell'ultimo album in studio con Chris Squire), risulta certamente il più inutile. L'album documenta il concerto tenuto nel luglio del 2019 all’Hard Rock Hotel di Las Vegas, assieme a John Lodge dei Moody Blues, Carl Palmer’s ELP Legacy (con Arthur Brown) e Asia (con l'ospitata di Howe e Palmer). E se "50 Live", il precedente live (lo abbiamo recensito QUI), si segnalava per la presenza del fondatore Tony Kaye e del virtuoso Patrick Moraz - membri storici che, pur in termini di minimo sindacale, certificavano una certa legittimità all'uso dello storico moniker - questo doppio live si evidenzia, se non quale incolore prodotto di una piatta cover band, quantomeno quale progetto solista del solo Howe se è vero, come è vero, che l'organico risulta ormai castrato di ciascuno dei membri fondatori e annovera, oltre al citato chitarrista (il secondo, nella storia della band), il quarto tastierista (Geoff Downes), il secondo bassista (Billy Sherwood), il quarto cantante (Jon Davison), il secondo batterista (Alan White), ormai talmente malconcio da essere sostituito per buona parte di ogni esibizione dal terzo batterista (Jay Schellen). Va infine segnalato che l'elemento novità latita anche all'ascolto di "Tempus Fugit", brano ormai piuttosto ricorrente nella tracklist del periodo post Anderson, nonché delle cover "Imagine" di John Lennon, che c'entra con gli Yes come i cavoli a merenda (alla registrazione del brano partecipò Alan White nel 1971), e "America", rivisitazione del classico di Simon & Garfunkel originariamente incluso nella prima raccolta della band, "Yesterdays", già eseguito dal vivo dai veri Yes nel 1996 (e presente, in una versione ben più accattivante, nell'ottimo "Key To Ascension"). Ecco, il raffronto tra questi ultimi due brani è un po' la sintesi del gap che separa i vecchi Yes dai nuovi: la cover arrangiata dai primi era straordinariamente innovativa, a tratti quasi rivoluzionaria, testimonianza di una vena creativa in continua espansione; il secondo brano è proposto in maniera pedissequamente ancorata a quella di Lennon, scevra da qualsivoglia intento di rinnovamento. Un giudizio, quest'ultimo, che purtroppo va esteso anche alla restante tracklist con la inevitabile conseguenza che l'intero lavoro appare quale sterile raccolta di brani scialbamente eseguiti da una band che, a tratti, pare addirittura estranea. Il disco è bocciato anche sul fronte visivo giacché la copertina di Roger Dean appare cupa e quasi bicromatica, testimonianza di un calo creativo che viaggia in parallelo con quello della band: un segnale piuttosto profetico di un futuro dalle connotazioni funeste. |
Jon Davison: Vocals Anno: 2020 01. No Opportunity Necessary, No Experience Needed |