C'erano una volta gli Yes, storica band di progressive rock.
Ad anni 2000 inoltrati, dopo innumerevoli cambiamenti, la formazione cosiddetta classica si era inaspettatamente ricomposta come segue: due i membri fondatori, Jon Anderson e Chris Squire, ai quali si affiancavano Steve Howe, Alan White, Rick Wakeman, tre membri storici (ma non fondatori). Ad un certo punto, l'ultimo dei 5 abbandonava definitivamente la formazione. Ciò non scalfiva minimamente il gruppo, che continuava a chiamarsi Yes senza che alcuno si meravigliasse più di tanto, visto che il biondo tipo era capricciosamente già entrato/uscito nei/dai ranghi più volte, non facendo patire conseguenze estreme al combo. Poco dopo, tuttavia, si ammalava Jon Anderson che, rispondendo a bieche logiche economiche, veniva impietosamente defenestrato senza tanti complimenti. Il gruppo ancora utilizzava il vecchio moniker. Poi successe che Chris Squire stesse male e morì piuttosto repentinamente. Quando la band si presentò sul palco, con l'ennesimo sostituto, qualcuno cominciò effettivamente a dubitare circa la genuinità della sigla Yes, ancora spavaldamente ostentata. Non è finita: Alan White, secondo batterista della band, accusa oggi un po' di malanni, vista anche l'età, e quindi viene ormai da qualche tempo sostituito dal vivo da un più giovane e prestante collega. A questo punto della storia, e siamo giunti ai giorni nostri, nessun membro fondatore è presente nella band, costituita dal secondo chitarrista (Steve Howe), dal quarto tastierista (Geoff Downes), dal secondo bassista (Billy Sherwood), dal quarto cantante (Jon Davison), dal secondo batterista (Alan White), spesso, però, sostituito dal terzo batterista (Jay Schellen). (Se contiamo anche Tony O'Reilly e Dylan Howe diventano rispettivamente terzo e quinto). Sorgono legittimi dubbi sulla reale paternità del nome, anche considerando che, nel frattempo, una parallela formazione viene costruita attorno al fondatore Jon Anderson, affiancato da Rick Wakeman e Trevor Rabin (terzo chitarrista) più due nuovi componenti. Stando così le cose, un live che dovrebbe celebrare i 50 anni di questa band, quale dovrebbe essere questo "50 Live", è certamente un live, ma è ben poco celebrativo perché poco rappresentativo. Quindi, in sintesi, si dovrebbe trattare di un'opera del tutto inutile, partorita da una formazione inutile. Ma ecco che, dopo ben 5 decadi di litigi e riappacificazioni, concretizzatisi in esclusioni, rientri, nuovi ingressi, ai quali si aggiunge una manciata di decessi, arriva il colpo di genio: il deus ex machina del progetto, Steve Howe (il membro più storico attualmente in organico), chiama a raccolta due antichi componenti, Tony Kaye e Patrick Moraz, rispettivamente primo e terzo tastierista (il primo è anche membro fondatore) e il progetto, immediatamente, meravigliosamente, immancabilmente, diventa credibile anche agli occhi dei più scettici. Coordinando in considerazioni di sintesi quanto sopra esposto, Patrick Moraz suona in "Soon" mentre Tony Kaye in "Yours Is No Disgrace", "Starship Trooper" e "Roundabout" (nell'ultimo, in origine, vi suonava Rick Wakeman). Jay Schellen, infine, suona più batteria di quanta ne suoni Alan White. Non è dato sapere in quali pezzi perchè, astutamente, le note all'interno del disco omettono qualsiasi indicazione in tal senso. A rendere più certo l'incerto, arriva anche Roger Dean, storico anche lui, con un altro dei suoi meravigliosi e surreali disegni. Fine di una storia nè bella, né triste, soltanto decisamente macchinosa e, certamente, ben poco genuina. |
Anno: 2019 |