A distanza di un biennio, arriva il nuovo album per il trio biellese dei Seraphic Eyes che, per l’occasione, han scomodato nientemeno che Pietro Foresti, già dietro al bancone-mixer per Korn, Asian Dub Foundation ed elementi di Guns’n’Roses, segno che il combo lombardo voleva curare bene i dettagli alla seconda prova: quella più insidiosa per tutti, quella che chiede le conferme promettenti del debutto che, solitamente, è sintomo di buone premesse. Ebbene, i 13 brani di Hope incarna quella nuova “speranza” che si anela non solo nella musica ma, soprattutto, nel sociale, nel mondo e nei spaccati di vita. L’ouverture è appannaggio di “Losing souls”, stilizzata con chitarre severe e ronzinanti che confluiscono in cori fortemente catchy, mentre “Crocodile boots” incalza di brutto con un drumming portentoso, che rifiata quel tanto per non appesantire troppo il brano. “Jfk spoke about us” fila dritta in calibrati appoggi grunge. Invece, la slow-section è ben rappresentata da “Time to go” e “Hope”: due esempi di come si possa elargire energia anche a velocità ridotta. “Running in the dark” si distingue dal lotto per un aspetto più metal che fa, comunque, sprizzar sudore. Hope è un disco possente, vivido, colmo di sferzate energiche, in cui ci si rispecchia in àmbiti di Nirvana, Velvet Revolver ma anche con ruggiti à la Black Flag, Bad Religion o dei bresciani Plan De Fuga. Interessanti anche i temi trattati: esempio, a difesa del nostro pianeta malato c’è il graffio di “Another life” a ricordarci, tra l’altro, che urge un re-set neuronico ed esistenziale per tornare ad intravedere nuovi spiragli di salvezza globale. Che il gruppo del compianto Kurt Cobain sia il loro totem generativo non ne fanno un mistero: gli accordi nell’intro e nel percorso di “When I suffered (Ode to smell)” è un palese richiamo a “Smells like teen spirit” (come suggerisce il titolo). Notiamo, inoltre, che sia “Alien blood” che “The reason” si spingono in sentieri più punk, con la risaltante linea di basso di Laura Gagliardi a sostenere una variegata ritmica che lascia esplodere l’abrasivo vocal-guitar-work di Alberto Marconetto che, inoltre, firma anche le liriche dell’opera. A chiudere i battenti spetta a “Your seraphic eyes” in cui vige un’identità più corale e passionale: magari, non del tutto orecchiabile ma con una struttura salda e coriacea che dà fedeltà ad un genere più vivo che mai. A colpi esauriti, il motore dei Seraphic Eyes ha girato senza intoppi per tutto il circuito di Hope, con un olio esecutivo che (Gr)unge molto bene
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