Articolo originariamente apparso sul N° 37 (116/117) Luglio/Agosto 2008 di Musikbox (rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo), qui pubblicato per gentile concessione dell'autore. Il nome di Francesco Gazzarra è certamente noto in contesti più vicini all'acid jazz, ove ha operato con i Gazzara e gli Hammond Express, con i quali ha inciso la bellezza di cinque album.Nel suo ultimo lavoro, abbraccia la causa eterea del suono minimalista al pianoforte, accompagnato di volta in volta da uno strumento diverso: sassofono, flauto, fagotto, corno inglese, contrabbasso, violoncello, organo, Mellotron Hammond. A distanza di poco meno di un anno, abiurata la formula delle collaborazioni esterne, l'artista romano riduce a un trio la sua formazione, ribattezzata proprio con il titolo dell'esordio, e partorisce un album che, in linea con il recentissimo passato, evoca atmosfere pastorali, romantiche, intense, peraltro impreziosite da una vaga e soffusa influenza jazz. Ancora una volta, l'artista agisce in territori perfettamente compatibili con le ambientazioni fantasiose dello scenario progressivo, in particolare della compagine genesiana degli esordi (sono assai ricorrenti i fraseggi al pianoforte del primo Tony Banks) e della rarefatta visuale di Canterbury, di cui vengono evocate le ricorrenti atmosfere mistiche e contemplative in chiave squisitamente acustica. Una produzione italiana di ragguardevole valore artistico che conferma l’eterogeneità di un musicista polivalente, capace di perseguire (e ottenere) pregevoli risultati in contesti variegati e apparentemente distanti tra loro.
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