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Muse
The 2nd Law

Matthew Bellamy non è un personaggio facile. Per usare un eufemismo. E’ un personaggio così imprevedibile, che secondo me quella che molti hanno scambiato per una “commercializzazione”, è solo una smania megalomane di fare tutto, di riuscire con ogni genere musicale gli vada di tentare lasciandosi alle spalle anche i marchi di fabbrica che hanno reso i Muse una delle rock band più famose al mondo.

Certo, dove i Radiohead (odio dover fare questo ultrabusato e abbastanza inutile paragone, ma qui credo ci possa stare) si sono rinnovati partendo verso territori sperimentali, i Muse hanno assalito, in maniera a volte più dignitosa e fedele al loro spirito, altre molto meno, la musica da classifica, passando anche dalle parti dei Queen e del pop ’80. però a dirla tutta io non credo che il senso di tutto ciò sia stato quello di vendere dischi alle ragazzine della generazione Lady Gaga (cosa che comunque avviene), quanto quella di assurgere al trono del rock e di farlo dimostrandosi il gruppo più eclettico sulla piazza . Del resto, i Muse hanno sempre osato molto, e secondo me è la stessa voglia di osare a portarli verso uno stile unico e verso capolavori come Origin of simmetry che li ha portati su MTV con ballate elettroniche e compagnia.

Tutto questo enorme cappello, per dire che non sono uno di quelli che boccia a priori il percorso nuovo dei Muse. Ho apprezzato singoloni come “Starlight”, ho apprezzato “The Resistance” nonostante alcuni enormi passi falsi e scelte stilistiche alle quali è meglio non pensare proprio, ho sempre pensato che fosse troppo chiedere a una band così di sfornare altri dieci album di “Hysteria” e “Plug in baby”.

Eppure, trovarsi davanti un album come la loro sesta fatica, The 2nd Law, lascia spiazzati. In quest’album c’è un po’di tutto. Alcune cose funzionano, altre no: da bocciare le ballate, la soporifera e un po’ infantile “Explorers”, tacciata anche di essere un auto-plagio, e “Save me”, con il bassista Chris Wostenholme alla voce, che nonostante un certo pathos non riesce a salvarsi dall’essere un pezzo sostanzialmente noioso. Da bocciare (almeno in studio:live migliora incredibilmente) anche “Madness”, ossessivo singolone mangia-classifiche a base di suoni dubstep e cori gospel che smarrisce una melodia simpatica in una foresta di echi e controcanti e nell’assolo più scontato del decennio. A sorpresa, l’oscena idea di un pezzo funk partorisce uno dei pezzi più efficaci del lotto, la grintosissima “Panic Station”, sicuramente il pezzo che rimane più in testa a fine ascolto.

In fondo anche l’inno ufficiale Olimpiadi 2012, il Queen/operistico “Survival”, riesce a far digerire la preoccupante propensione di Bellamy ad imitare Freddy Mercury con un minuto buono di chitarre sferraglianti in uno degli assoli meglio riusciti della carriera dei Muse. Meno bene quando si smarriscono nel fare il verso agli U2 (“Big Freeze”, simpatica marcetta rock che da un lato entra e dall’altro esce) o ai Foo Fighters (“Liquid State”, me in realtà qui è la voce di Chris a rendere un po’ anonimo una traccia che ha tutta l’aria del pezzaccio mancato). I pezzi forti dell’album sono Supremacy, che i più hanno indicato, neanche troppo a torto, come la figlioccia bastarda di Kashmire e della colonna sonora di 007, e Animals, una specie di jazz-flamenco con bei momenti chitarristici e un crescendo di grande effetto. La scommessa più rischiosa del disco, i Muse la fanno con la prima parte del dittico-titletrack ,”The 2nd Law: Unsustainable”: il tentativo di buttare nello stesso calderone l’elettro-sinfonico (stile “Take a Bow”, per intenderci) con la dubsetp con tanto di voce robotica poteva finire molto ma molto male ,dalle parti di una specie di Skrillex imbellettato, invece il crescendo apocalittico che esplode nella chitarra aliena e nella breve comparsata vocale di Matt, da vita al momento più riuscito del disco. Non si può dire lo stesso per “The 2nd Law: Isolated System”, un raffinato pezzo trance che però non riesce proprio a prendere (forse proprio perché troppo raffinato).


Insomma, alla fine questo è un disco riuscito per metà, quasi nel senso matematico del termine, con idee ottime, meno ottime e anche pessime. Il problema è che quando un gruppo ha un passato di un certo peso, bisogna considerare anche qualcos’altro: in questo caso, bisogna tener conto anche di quello che non c’è, o c’è poco, ovvero l’elemento rock unico e personale, ora relegato a qualche sfuriata chitarristica o vocalizzo, che li ha resi famosi e che, bene o male, è stato presente fino a ieri: ancora in The Resistance, il classico stile Muse era semplificato a beneficio delle masse(title-track), rinnovato (mk ultra), riproposto con buoni risultati ad uso dei fan della prima ora (“Unnatural Selection”); ora, è nascosto da qualche parte fra le mille nuove strade intraprese dal gruppo. Va detto che quando affiora, affiora con risultati ottimi: i momenti chitarristici vanno dal buono all’ottimo (la chitarra fuzzy di “Supremacy” è da orgasmo), e l’ugola di Matt, oltre ad essere maturata tantissimo, è ancora in grado di regalare acuti ad uso perforazione timpani (cfr., di nuovo, ”Supremacy”). Però, per contro, spesso non si capisce bene chi è che abbiamo davanti. Mi rendo conto che forse questo è un discorso da fan, che può svilire un album in fondo ben confezionato, ben prodotto, e con dei momenti obiettivamente felici, ma l’effetto su di me è stato che gli spunti e le idee buone vengono oscurati, e ci si ritrova a implorare per un chorus alla “Hysteria” in un pezzo come “Supremacy” che, in realtà funziona anche senza, o a lamentarsi del synth pseudo-dubstep al posto delle chitarre sul ritornello di “Follow me”, che in fondo non è male. I pezzi più sconclusionati, poi, diventano davvero odiosi. Se Bellamy e soci ci avessero/si fossero “concessi”, al posto di qualche uscita poco felice, un pezzo più “classico”, o almeno, che so, un chorus rockeggiante, a questo album sarebbe mancato poco. Anche perché qui i Muse hanno dimostrato di avere imparato abbastanza bene a destreggiarsi con le velleità pop/elettroniche/funk/sa dio cosa che ormai, nel bene è nel male, evidentemente hanno: se in The Resistance era facile individuare i momenti migliori in quelli più classici, il resto convinceva poco, qui i risultati arrivano anche da altre direzioni, non ultime (anzi) quelle poco battute (“Animals”, “Unsustainable”). Se il gruppo facesse pace anche col suo passato, oltre che con il funk, i Queen, la dubstep, gli U2 e chi più ne ha più ne metta, potrebbe fare cose inaudite. Nell’attesa, questo è un album complessivamente buono che mi sentirei di consigliare tranquillamente a chi non rimpiange i primi anni 2000 del trio britannico. A chi rimpiange, maneggiare con cautela e senza troppe aspettative, ma, insomma, val la pena di provarci.

69/100


Matthew Bellamy: Voce, chitarra, tastiera, sintetizzatore e arrangiamenti orchestrali
Cristopher Wolstenholme: Basso, cori, sintetizzatore e voce in Save Me e Liquid State
Dominic Howard: Batteria, percussioni e sintetizzatore

Guests:
David Campbell: Arrangiamenti orchestrali
Alessandro Cortini: Sintetizzatori aggiuntivi
Katie Razzall: Voce narrante in The 2nd Law: Unsustainable e The 2nd Law: Isolated System
Tom Kirk: Cori in Survival

Anno: 2012
Label: Helium-2/Warner
Genere: Alternative Rock/Pop

Tracklist:
01. Supremacy
02. Madness
03. Panic Station
04. Prelude
05. Survival
06. Follow Me
07. Animals
08. Explorers
09. Big Freeze
10. Save Me
11. Liquid State
12. The 2nd Law: Unsustainable
13. The 2nd Law: Isolated System

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