Poteva essere una delusione, e invece…
È stata una serata da ricordare quella dell’8 agosto, quando all’Arena di Verona è andata in scena La Traviata di Giuseppe Verdi, ripresa dell’allestimento firmato da Hugo de Ana che aveva inaugurato la stagione 2011.Le premesse per una serata no c’erano tutte: intanto il tempo, con un cielo scuro e nuvoloso che fortunatamente si è scaricato nei dintorni della città scaligera riservando all’anfiteatro una finestra di bel tempo. A questo si univa il fatto che quella dell’8 agosto è stata l’ultima recita di una serie di nove, e incombeva il rischio che si potesse verificare quel down che a volte affligge i finali di produzione: e invece…
Invece è stata una Traviata come non la vedevo e non la sentivo da anni, sia pur con qualche neo dovuto più alla non ottimale situazione acustica della cavea veronese che alla stanchezza o all’imperizia del cast e delle masse artistiche coinvolte.
Partiamo dalle scene e dalla regia: è risaputo, il teatro all’aperto veronese è una sfida per ogni regista e scenografo, con ampi spazi che spesso tendono ad essere riempiti fino a rischiare l’effetto brocantage. Le tre grandi cornici (di quadri, finestre, specchi?) che delimitano le zone centrale e laterali del palco hanno in questo allestimento il merito, al di là della funzione simbolica espressa, di definire e circoscrivere con chiarezza gli spazi fisici in funzione dell’azione drammatica che vi si svolge, focalizzando l’attenzione dello spettatore, non distratto da orpelli e ammennicoli di scena vari, sullo svolgimento drammaturgico dell’opera. Una scena elegantemente pulita, che cambia la sua funzione drammatica con pochi semplici, ma proprio per questo ingegnosi, accorgimenti: una finestra che si apre sul pavimento, dalla quale entrano ed escono i protagonisti del dramma, un parasole con la sua seduta da campagna, un baule da viaggio aperto, un tavolo da gioco, un giaciglio attorniato da cornici di finestre e di quadri ormai distrutti, resi ancor più appropriati da un utilizzo delle luci che divengono veramente, in questo caso, parte integrante della scenografia.
In questo quadro così ben realizzato si muovono il cast e le masse del coro e del balletto, senza quella ricerca di una azione animata e a volte concitata che spesso serve a mascherare la mancanza di idee, ma in uno svolgersi garbato delle scene e dell’intreccio.
E anche il cast ha superato le attese, in particolare i due protagonisti, per presenza scenica e vocalità. Lana Kos, Violetta, è stata impeccabile, e alla presenza scenica sempre pertinente allo svolgimento della trama ha unito una resa vocale da lode. Il ruolo di Violetta rappresenta per i soprano uno scoglio: la Kos ha saputo affrontarlo con sicurezza e abilità, con una emissione sicura e insieme duttile che le ha permesso, anche nell’immenso anfiteatro veronese, di esprimere tutte le gradazioni drammatiche richieste dal personaggio interpretato. Francesco Meli, Alfredo Germont, ha portato a compimento il suo ruolo con grande perizia e senso del dramma. Sostenuto da una vocalità felice, che mi ha ricordato alcuni grandi tenori italiani del recente passato, ha avuto anche, per chi scrive, il grande pregio di rendere il ruolo di Alfredo non come quello, troppo spesso frequente, del ricco provincialotto un po’ tonto irretito dalla cortigiana più desiderata di Parigi, ma dell’uomo che virilmente ama con profondità di intenti una donna dalla fama riprovevole, e che sostiene coraggiosamente la propria scelta davanti alla società.
Il resto del cast è stato all’altezza dei due protagonisti, dai pertichini fino ai comprimari: tra questi ultimi ha spiccato Alice Marini, Annina, che pur nell’eseguità della parte ha mostrato potenzialità e capacità che mi auguro di sentire in altri ruoli più corposi e rilevanti. Molto bene Chiara Fracasso, Flora Bervoix, che ha valorizzato un ruolo che spesso passa in secondo piano, e David Babayants, Giorgio Germont, che dopo alcune iniziali insicurezze nell’intonazione ha reso la parte di Germont padre con autorevolezza e partecipazione emotiva.
Il balletto, diretto da Maria Grazia Garofoli, ha restituito le coreografie di Leda Lojodice con efficacia e grazia, sia pur su di un palcoscenico che per la sua conformazione (parte della scena si sviluppa su un piano molto inclinato) non aiutava di certo i movimenti dei ballerini. Il coro preparato da Armando Tasso è stato un ulteriore protagonista, sia in funzione drammaturgica per la presenza scenica, sia nelle numerose parti nelle quali è chiamato ad esprimersi, dall’iniziale Libiam ne’ lieti calici alla scena del gioco e del pagamento.
Infine, last but not least, l’orchestra e il suo direttore.
L’orchestra, molto ringiovanita nei ranghi, mi ha piacevolmente colpito per la qualità del suono: morbido, pieno, mai sgarbato anche in quei punti che sottolineano musicalmente i momenti più drammatici della trama, e per l’insieme, testimoniato dalla perfezione di alcuni impervi passaggi degli archi ad introduzione di alcune scene (uno per tutti quello dei violini al Mi chiamaste? Che bramate? del secondo atto). Pregevole l’esecuzione dei due Preludi, nei quali l’orchestra ha messo in mostra le sue peculiarità, a fronte di una partitura che spesso tende a nascondere l’importanza della compagine orchestrale. E tutto questo sotto la bacchetta di Andrea Battistoni, che ha saputo condurre in porto una rappresentazione dalle tante qualità, i cui pochi nei dei quali ho accennato all’inizio (la cabaletta No, non udrai rimproveri un poco sotto il tempo, e un problema di insieme all’inizio del concertato del terzo atto, No, non morrai, non dirmelo), non hanno assolutamente inficiato la resa generale dello spettacolo, che è stato, nella mia esperienza areniana degli ultimi anni, uno dei più pregevoli e ben realizzati.
Melodramma in 3 atti di
Giuseppe Verdi
Libretto di
Francesco Maria Piave
Direttore: Andrea Battistoni
Regia, scene, costumi e luci: Hugo De Ana
Coreografia: Leda Lojodice
Personaggi e interpreti
Violetta Valery Lana Kos
Alfredo Germont Francesco Meli
Giorgio Germont Davit Babayants
Flora Bervoix Chiara Fracasso
Annina Alice Marini
Gastone Stefano Consolini
Barone Douphol Federico Longhi
Marchese d'Obigny Dario Giorgelè
Dottor Grenvil Victor Garcia Sierra
Giuseppe Cristiano Olivieri
Domestico/Commissionario Gabriele Ribis