Madama Butterfly
Arena di Verona, 26 Giugno 2010

Prima l'Egitto dell'Aida, poi la Cina della Turandot per la rassegna targata Zeffirelli, poi nel dedalo del suo eterogeneo cammino melodrammatico, la meta torna ad essere l'Oriente, il Giappone di Madama Butterfly.

Ci troviamo alla presenza dell'ultima rappresentazione ideata per l'Arena dal regista, ma anche del dramma da lui mai costruito in nessun altro teatro prima di adesso. A ben guardare, incrociamo del resto un'opera di Puccini tra le meno rappresentate da Zeffirelli. E ancora. Basti pensare che 'solo' nel 1978 essa ha visto la luce nell'anfiteatro romano, una testimonianza piuttosto significativa di come la questione della bontà di un sito monumentale per la sua mise en scène sia sempre stata oggetto di tormentata discussione vuoi anche per gli intensissimi risvolti psicologici incentrati sul lento consumarsi di un solo personaggio.



Nel complesso, l'esito è controverso. Il sentimento è in piccola misura decantato dalla imponenza del sito archeologico e dalla tetragona cornice che contiene la rappresentazione. Ne consegue che il consapevole tormento di Butterfly, ingannata nell'affetto e nell'amore perseguito con tenacia sino al gesto estremo, matura in scena solo una parte della tensione interiore che Puccini aveva plasmato con risultati insuperabili nella partitura, a cavallo tra costruzioni melodiche di inarrivabile raffinatezza e una pianificazione dell'orchestrazione imbevuta di un forte sinfonismo suggestivo ed orientaleggiante.



Il contenitore dell'opera è di enorme imponenza scenica e dispiega la sua spettacolare forza soprattutto nella prima parte del primo dei due atti, probabilmente perchè è la sola in cui la regia di Zeffirelli ha la libertà di fare leva sugli ingenti spostamenti delle masse. Poi però, dal momento in cui il cammino della protagonista fanciulla Cio-cio-san imbocca la strada del cupo dolore, della lacerazione interiore e infine dell'annientamento, la cornice va lentamente sgretolandosi e perdendo di utilità. In questo frangente la regia fa affidamento sulla scelta di luci dall'intenso ruolo simbolico e nei momenti chiave su una mimica quasi liturgica totalmente conforme ai costumi in auge ad inizio ventesimo secolo quando venne partorita la composizione dell'opera, in grado di far balenare la robusta e articolata rete di significati che la maniera di abbigliarsi ha sempre sotteso nella tradizione dell'estremo oriente.



In grande rilievo nella compagnia di canto la protagonista Hui He dalla voce florida, sapientemente gestita ma anche limpida e versatile. Il risultato è una Butterfly di enorme lirismo, piena di passione ma priva di superficiale sentimentalismo. In tutta onestà si potrebbe evidenziare qualche defaillance nei tagli più drammatici a causa di alcuni nervosismi sull'acuto anche se l'intera prova è apparsa di assoluto rilievo, a riprova di ciò basterà in tal senso menzionare il plebiscito tributatole al termine della notissima romanza 'Un bel dì vedremo' nell'atto secondo. Per converso, qualche riserva è apparsa legittima sul Pinkerton impersonato da Carlo Ventre a tratti impreciso ritmicamente e torbido nell'emissione. Qualche perplessità anche per il console Sharpless di Gabriele Viviani, impeccabile per sentimento ma forse dalla vocalità poco robusta, discorso in parte analogo per il Goro di Angelo Ferrari tenue e poco intenso. Inappuntabile è apparsa la Suzuki di Rossana Rinaldi e a tratti brusco e troppo omogeneo nel registro lo zio Bonzo di Manrico Signorini. Gli interventi del coro si sono rivelati sempre conformi ai dettami della partitura pucciniana anche grazie al suggestivo connubio tra l'ottima scelta delle luci e le voci nel celebre 'coro a bocca chiusa':speranza e presagio fusi dietro la montagna e nel cuore della piccola Cio-cio-san.



Penalizzati il fraseggio e la varietà dei colori Pucciniani dalla presenza delle correnti d'aria che in più di una occasione hanno indotto alcune ali del pubblico a manifestare (non molto urbanamente in realtà) il proprio disappunto con urla sguaiate e scomposte, più adatte ad una corrida che ad una rappresentazione di tale livello. In soccorso non è intervenuta nemmeno la scelta dell'amplificazione apparsa completamente non idonea: l’orchestra, soprattutto all’inizio del I e II atto è apparsa sofferente, in particolare nella sezione degli archi.

Ne è risultato un fugato iniziale comprensibile appieno solo dopo l’entrata dei bassi e, a tratti, un vistoso disequilibrio in buca tra le varie sezioni, con fiati e percussioni sempre più in evidenza e gli archi per lo più compressi in una dinamica percepita tra il pianissimo e il mezzo forte. Sicuramente questa difficoltà di resa ha costretto il M° Antonio Pirolli, che ben ha gestito il rapporto di sincrono col palcoscenico, ad una concertazione pulita ed uniforme ma appiattita sulle dinamiche: una dolorosa rinuncia a quelle “spennellate” di colore e di timbriche (molto pronunciata all’inizio dell’opera e nella splendida pagina sinfonica che apre il III atto) che, prima ancora che nella regia di Zeffirelli, troviamo nell’immortale partitura del monodramma pucciniano.

Personaggi e interpreti

Cio-Cio-San: Hui He
Suzuki : Rossana Rinaldi
Kate Pinkerton: Ausrine Stundyte
F.B. Pinkerton: Carlo Ventre
Sharpless: Gabriele Viviani
Goro: Angelo Ferrari
Il Principe Yamadori: Luigi Mancini
Lo zio Bonzo: Manrico Signorini
Il Commissario imperiale: Fabio Bonavita
L’Ufficiale del registro: Daniele Cusari
Madre di Cio-Cio-San: Asude Karayavuz
Cugina di Cio-Cio-San: Simge Buyukedes


Direttore: Antonio Pirolli
Regia e scene: Franco Zeffirelli
Costumi: Emi Wada
Movimenti coreografici: Maria Grazia Garofoli

 

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