Cinque brani per un totale di appena undici minuti sono il biglietto da visita di questo stravagante artista inglese che sembra elevare a punto di riferimento un Daevid Allen d’annata, di cui omaggia lo spirito più ironico e istrionico. In queste pillole di breve durata, l’artista offre un quadro di sé tendenzialmente ispirato al dadaismo sixties tipico di certa controcultura inglese e americana che faceva dell’ironia, della follia e della sperimentazione (non esasperata) i propri punti di forza. O'Linski naviga in acque surreali, a metà tra delicata estemporaneità e faceto irrazionale, pitturando bozzetti fantasiosi che, seppur privi di un background jazz (che era proprio di Allen, invece), raggiungono risultati se non strabilianti, quantomeno onesti e dignitosi. Il risultato non incanta o seduce, ma quantomeno soddisfa amabilmente, facendo sorridere. Avremmo gridato al capolavoro se solo gli strumenti fossero stati ripartiti tra musicisti professionisti: invece, purtroppo, sono tutti affidati al singolo che, peraltro, non pago di apparire come (non sempre adeguato) polistrumentista, ricorre ad alcuni campionamenti e registra il tutto apparentemente in maniera artigianale. |
Shane O'Linski: Tutti gli strumenti
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