Ci vuole coraggio a portare in scena un testo ricco di (efficaci) battute in grado di esaltare in maniera sferzante il politicamente scorretto, mentre è necessaria un'abilità smisurata nel trasformare il tutto in un messaggio nobile, credibile, forte del potere di convincere lo spettatore che quel politicamente scorretto è semplicemente la trasposizione su palco della incapacità collettiva di accettare la diversità in tutte le sue manifestazioni. Questo è, in breve, "Arancione", opera prima dello sceneggiatore/regista Fabrizio Colica, già noto sui social quale membro de "Le Coliche" (duo capace di conquistare il pubblico del web grazie ad una serie di parodie gustosissime, ricche di umorismo sensato, talvolta impreziosito da paraddosi assai contestualizzati). La sceneggiatura è estremamente solida, nella sua capacità di affrontare con apparente disimpegno tematiche delicatissime - quali l'immigrazione clandestina, l'omosessualità in famiglia, un certo bigottismo dal chiaro retaggio clericale, le relazioni tra persone di etnia diversa o appartenenti a generazioni distanti - conservando invece un approccio assolutamente sensato, capace di demolire il perbenismo imperante posto alla base di certi intramontabili luoghi comuni. Quanto sopra sarebbe stato impossibile, da realizzare, senza il coinvolgimento di quattro attori incredibilmente talentuosi e osmotici: Leonardo Bocci sembra essere nato per il ruolo di apparente giullare, capace di smorzare la tensione con i suoi interventi spesso irriverenti, in grado tuttavia di esprimere arguzia, intelligenza, pungente sagacia espressiva; Mauro Conte porta in scena un personaggio bicefalo, percorrendo un range interpretativo incredibilmente ampio: da un lato esprime l'ordinarietà di un soggetto quasi impacciato, nella sua omosessualità, pur consapevolmente vissuta; dall'altro ostenta orgoglio e sicurezza allorquando esce dal bozzolo e si trasforma in farfalla, con ciò garantendo, peraltro, altissimo impatto visivo; Patrizia Loreti, l'unica della compagnia a vantare una certa età, supera con incredibile disinvoltura la innegabile difficoltà di misurarsi alla pari in un alveo giovanile, previa adozione del medesimo linguaggio (e non soltanto, trovandosi lei stessa a suo agio anche nel contesto posturale); e poi c'è Paola Michelini: se c'è un'attrice in condizione di esprimere, recitazione in corso, il concetto di "luce degli occhi", questa è di sicuro lei: estremamente sicura nei modi, altamente espressiva, autoironica, costei sa dosare con indubbia capacità una vulcanica attitudine, con il risultato di esercitare ascendente e seduzione anche nei confronti dei soggetti più impenetrabili e/o refrattari. Fabrizio Colica, infine, sceglie intelligentemente di collocare ai margini il suo personaggio, pur identificato quale innegabile protagonista, chiaramente soggiacendo all'esigenza primaria di lasciare spazio agli eclettici talenti sopra ampiamente descritti. Parlando ancora di sceneggiatura, si soggiunge che egli manifesta l'abilità di gestire il turpiloquio in maniera assai contestualizzata e, come regista, smarca agevolmente un altro degli elementi fondamentali di un'opera teatrale, cioè il colpo di scena, gestendo alla perfezione l'ingresso quasi tumultuoso del trasformato Mauro Conte, garantendo così un'impennata verticistica della curva dell'attenzione, peraltro già lontana dal flettersi fino a quel momento. Mi capita sovente di assistere ad opere teatrali che, mancando di una delle essenziali componenti, segnano inevitabilmente il passo sulla linea della sufficienza, talvolta soltanto lambita: attori brillanti, ad esempio, frustrati da una sceneggiatura povera di fantasia o lasciati senza guida a causa di una regia eccessivamente lassa; ancora, interpreti incapaci di esprimere abilità espressive per colpa di un'acerba attitudine o, al contrario, di eccessiva smania di protagonismo. Nulla di tutto ciò riguarda l'opera qui recensita, ove si palesa una completezza ripartita su più fronti che, peraltro, ha anche l'ulteriore pregio/potere di coinvolgere un pubblico spalmato su più generazioni. Se avessi assistito a quest'opera nel 2023, l'avrei senza dubbio premiata quale "migliore commedia dell'anno": forse è presto, soltanto a febbraio dell'anno successivo, per sbilanciarsi in analogo modo, quindi mi limito ad una più cauta canditatura, pienamente consapevole, invero, che il pronostico esprime rare potenzialità di essere vanificato. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 24 febbraio 2024. |
ARANCIONE
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