Doppia recensione per Dark City dei Vu Meters Il progetto Vu-Meters nasce dall'incontro di 3 musicisti dal passato già ricco di esperienze importanti e significative, Ugo Vantini (Balletto di Bronzo, Ezra Winston), Stefano Pontani (Anagramma, Ezra Winston, Matilda Mother) ed infine Fabrizio Santoro (Nodo Gordiano, OAK), tre musicisti che scoprono di avere si interessi musicali convergenti ma anche di avere una visione comune di quello che dovrà essere il loro progetto musicale, una visione che non si impone limiti e steccati, una visione che vede nell'improvvisazione il migliore veicolo per partecipare e porre in essere le proprie idee. Ed è così che una volta entrati in studio, le composizioni di questo lavoro prendono forma, corpo e sostanza, alla fine della sessione di registrazione i Vu-Meters decidono di mantenere la batteria, alcune linee di basso ed alcuni passaggi di chitarra, reinventando, montando ed aggiungendo nuove parti originali, una miscela di Live e Studio che giunge a noi con questo CD intitolato appunto Dark City, un punto di arrivo o un punto di partenza ? questa la domanda che a leggere la bio dei Vu-Meters si pongono anche loro. Dark è proprio la parte principale il cuore della musica dei Vu-Meters in una poliedrica composizione, un arabesco che mantenendo sempre tonalità scure vede fiammeggiare momenti che vanno dalla fusion, al Prog, dai più sperimentali King Crimson alle sonorità più aperte e gioiose del Neo-Prog dei Marillion e dei Pendragon, dal Prog psichedelico dei Pink Floyd alle sonorità più sofisticate e strutturate dei Porcupine Tree. "Brain Washing" è l'apertura di Dark City, un brano che parte immediatamente su ritmi sostenuti, con la chitarra assoluta regina incontrastata, un brano inizialmente dai toni quasi Metal a voler immediatamente "catturare" l'ascoltatore per poi cedere, come accadrà spesso in seguito, alle lusinghe dell'improvvisazione, dando vita ad un intreccio che ci propone uno dei momenti tra i più musicalmente "violenti" dell'album, alternato ad un finale per contrario estremamente rilassato. Il secondo brano: "The True Size of Life" è un elegante brano che strizza inizialmente l'occhio, specialmente con i passaggi di chitarra al Neo-Prog britannico, ai Pendragon ed ai Marillion, giungendo alla fine del brano su territori Ambient-Prog che ricordano vagamente gli Yes di Tales from Topographic Ocean o Relayer. L'apertura di "Swarm Intelligence" riprende le coordinate musicali Ambient-Prog appena lasciate, regalando più spazio a sonorità fluidamente sperimentali giocate sopratutto sulle basi ritmiche di basso e batteria che tendono ad un fare via via più jazzato fino ad arrivare ad un approccio completamente improvvisato con l'ingresso delle tastiere che ci riporta alle tinte più tenui e scure, aria quindi di jam session nella parte centrale di questo lungo brano, ben oltre i 15 minuti, arricchito ulteriormente dal solo di chitarra di Stefano Pontani che trasporta il brano su territori pienamente fusion, mantenendo sempre un aura di improvvisazione, di jam tipica della fusion e del jazz. Una sorta di reprise delle sonorità iniziali di "The True Size of Life" dai tempi più sostenuti e veloci ci porta con brio e ritmo alla chiusura di questa suite, corposa e ricca di improvvisazione strumentale. I Pink Floyd più psichedelicamente orchestrali, avete presente Careful with that axe Eugene? aprono "Ac/Bc" salvo poi cedere il passo a sonorità in vero estremamente devote ai Porcupine Tree meno recenti dando vita ad un brano inizialmente dai toni pacati e riflessivi salvo poi anche qui evolvere verso passaggi di chitarra dal riffing più duro accompagnato da un incremento del ritmo di basso e batteria a culminare in un looping in crescendo decisamente ritmato, ipnotico ed arrembante, assolutamente coinvolgente ( sfido l'ascoltatore a non battere il tempo ), che con la chitarra a fare da sfondo sonoro ci accompagnerà fino alla chiusura del brano. Con "Tetsuo" si ritorna alle sonorità ricche di improvvisazione di "Swarm Intelligence" puntando maggiormente su di un approccio che richiama a certe improvvisazioni strumentali dei King Crimson e di sua maestà Robert Fripp. Chiusura dedicata alla title-track, un motivo pregno di sonorità decisamente floydiane che poste sotto un alone oscuro ci regalano un brano intenso, emotivamente ricco e sicuramente interessante un pezzo che è la summa ed a mio avviso il cuore della proposta musicale della band, per il sottoscritto in assoluto il momento migliore di questo Dark City. In conclusione un album come logico aspettarsi, viste le premesse ideali di partenza dei Vu-Meters, intricato e complesso che però ci mostra una band innovativa nei suoni e nelle costruzioni musicali, una band con molte idee e con molte cose da dire, musicalmente parlando, una band ovviamente tecnicamente ineccepibile, con una base ritmica assolutamente di alto livello e solisti abili nell'improvvisazione e nel jamming. Un disco ostico si ma un disco che sa donare piacevoli soddisfazioni musicali. 80/100SECONDA RECENSIONE a cura di Gianluca Livi Stefano Pontani e Ugo Vantini degli Ezra Winston, unitamente ad un terzo elemento, Fabrizio Santoro, danno vita ai Vu→Meters, gruppo di difficile etichettatura, autore di un’opera (autoprodotta in sole 500 copie) interamente strumentale ove, su un substrato di atmosfere cupe e inquietanti, si spazia dalle sonorità energiche e dure di Brain washing, un brano quasi doom-metal, alle atmosfere più rilassanti, lente e cadenzate di Dark city, episodio dal vago sapore Floydiano. In tale range musicale sono compresi gli altri lunghi brani, tutti suonati con indiscussa perizia tecnica, all’interno dei quali, spesso senza alcuna soluzione di continuità, vengono offerte caotiche sperimentazioni stilistiche vicine ai Djam Karet, atmosfere liquide e oniriche dei primissimi Porcupine Tree e, talvolta, soluzioni ardite già proprie dei più criptici King Crimson. Il chitarrista - già ricercatore di suoni negli Ezra Winston - opera con una loop station, talché i suoi giochi sonori sembrano richiamare le sperimentazioni di Fripp ai frippertronics. Eppure, mentre quest’ultimo percorre astrusi territori avanguardistici, francamente poco apprezzabili, il lavoro di Pontani emerge per la linearità delle melodie e per il contegno espressivo dell’esecuzione, ispiratori di un certo rilassato intimismo. Un lavoro sopraffino, di non facile assimilazione, cosparso di un marcato retrogusto dark, spesso austero, che oscilla da sperimentazioni dure e graffianti ad atmosfere intimiste e profonde (Recensione apparsa sul n. 34, anno 2008, di “Musikbox - Rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo”, qui pubblicata per gentile concessione dell'autore). 88/100 |
Fabrizio Santoro: Basso, tastiere, chitarra, mandolino Anno: 2007 Sul web: |