Si formano nel 1971 a Jacksonville, in Florida, e firmano il loro primo contratto discografico nel 1977 con la Epic, esordendo l'anno successivo con un disco che diventa un archetipo indiscusso del southern a connotazione hard rock. Dal vivo, rispondono alle due chitarre presentate dai colleghi Blackfoot - con loro, orgogliosi e valenti portabandiera della frangia più heavy del movimento sudista - schierandone addirittura una in più: se i loro omologhi pellerossa ruggiscono, alternando repentinamente la chitarra slide a quella biker, loro graffiano ripetutamente, creando una compattezza sonora che letteralmente magnetizza la platea. Questi erano i Molly Hatchet, capaci di sfornare, dal 1978 al 1983, cinque album che oggi sono considerati veri e propri classici, tutti entrati nella classifica statunitense nei primi 70 posti, risultato piuttosto incredibile per un gruppo southern che non sia la Allman Brothers Band o i Lynyrd Skynyrd. Correndo velocemente ai giorni nostri, lo storico moniker campa ancora ma l'organico non è lo stesso: nessuno dei membri che ebbe il privilegio di suonare in quei cinque dischi fa parte della formazione attuale la quale, peraltro, sfodera un solo chitarrista a fronte di quella macchina da guerra imbattibile che rispondeva al nome di Hlubek/Holland/Roland. Il membro più anziano è un tastierista, John Galvin, entrato nei ranghi nel 1984, a partire dal 6° album, al quale si affianca l'unico chitarrista, Bobby Ingram, coinvolto due anni dopo, che oggi si proclama leader e tira avanti la carretta. Gli altri membri sono stati interessati soltanto nel nuovo millennio: il batterista nel 2001, il bassista nel 2003 e il cantante l'anno scorso. Detto questo, guardare la copertina di questo nuovo live ove campeggia lo storico logo sa di grandissima presa per il culo. Tutte le band anagraficamente datate hanno il buon senso di presentarsi al pubblico con almeno un membro originale al fine di fornire una parvenza di minima credibiità, quantomeno in zona Cesarini. Si pensi ai risorti Lynyrd Skynyrd, che vantano due membri storici (Gary Rossington e Rickey Medlocke). Coloro che, invece, hanno analogamente perso i membri originali per la strada, risorgono più credibilmente (e correttamente) arricchendo di un prologo o un'appendice lo storico vessillo. E' il caso dei Riot o di una costola degli Asia, oggi rispettivamente noti come Riot V e Asia featuring John Payne. Se queste situazioni fanno comunque storcere la bocca, quella riguardante i Molly Hatchett fa invece vomitare. Costoro nulla fanno per mascherare una vera e propria castrazione e pare che si compiacciano di ostentarla, impostando la scaletta dei loro concerti anche sui brani classici ai quali, evidentemente, all'epoca contribuirono quali semplici ascoltatori, forse da imberbi teenagers. A dirla tutta, se può rassicurare, in questo live c'è Jimmy Elkins, il nuovo singer, che canta come Danny Joe Brown, mentre la seconda e la terza chitarra sono sufficientemente sostituite da una tastiera onnipresente. Tutto ciò, se vi piacciono le cover band, ovviamente. La copertina, come al solito, merita. |
Jimmy Elkins: voce Anno: 2019 |