Provenienti dal Canada, tre anni fa in seno al loro debutto ci descrissero con un approccio delicato e meditato la loro terra, per quello che fu considerato come una delle opere prime migliori uscite nel 2005.
Non è un caso allora che questo In The Future risulti uno dei dischi più attesi di questo primo trimestre musicale, soprattutto tra i cultori del rock più classico. Abbandonati certi territori più tradizionali e sicuri, oggi i Black Mountain tornano con un disco dal taglio decisamente più aggressivo ed in parte grezzo, come a voler rinvigorire la già ampia scuola revivalistica anni ’70 degli ultimi anni. “Stormy High” si apre con il flebile coro di Amber Webber accompagnato dalle scariche elettriche delle chitarre per un pezzo che oggi potremmo definire al confine tra hard rock e stoner, mentre i toni sono già più rilassati nella ballata psichedelica “Angels”, che fa da richiamo alle prime composizioni della band. Chiude il primo trittico la vulcanica “Tyrants”, con divagazioni prog e dall’incedere epico garantito dalle tastiere. Più alienata e piena di trip “Wucan”, che scorre piacevole senza però lasciare tracce indelebili nell’ascoltatore il quale, arrivati a questo punto della raccolta, potrebbe emettere i primi sbadigli (noi vi abbiamo avvisati). Il prodotto a dire il vero è ben confezionato e suonato, però nello stesso tempo mette a fuoco in maniera palese, tutti i limiti di un gruppo troppo legato al déja-vu e dedito più ad un recupero fin troppo eccessivo e scontato in certi casi, del rock britannico settantiano. Esempio palese è “Evil Ways”, che pare essere una b-side dei primi Black Sabbath oppure una jam tra i Led Zeppelin ed i Blue Cheer. Forse non è un caso che alla fine, cosi come già detto per “Angels”, i brani più convincenti vengono fuori quando i Black Mountain tirano fuori la loro vena più intimista e tranquilla, così come nel country etereo di “Stay Free” oppure nella traccia conclusiva “Night Walks”, con ancora la Webber assoluta protagonista di un composizione spoglia dove solo le poche note di tastiera accompagnano la sua voce sognante e ricca di spiritualità. Un come back riuscito quindi a metà, con lo spettro dei colleghi Dead Yellow che aleggia prepotente nei solchi, solo che quest’ultimi al secondo disco erano riusciti a dare un’impronta decisamente più personale alla propria proposta. I Black Mountain per adesso, sanno ancora di progetto poco definito e delineato, con qualche idea davvero buona ma spesso realizzata male e con la testa rivolta troppo al passato. 60/100
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Matt Camirand: Basso Anno: 2008 Sul web: |