Il death metal è un genere in continua espansione, e dire che a metà degli anni '90 si vociferava della sua prematura involuzione, dove le band di maggior spicco iniziavano ad auto-ripetersi ed auto-compiacersi finendo per cadere nel tranello commerciale di rinnovamento, oggi invece ci troviamo di fronte ad un fenomeno internazionale di proporzioni abnormi, ciò lo dimostra questo disco dei Navalm, Ucraini al primo full con una precedente carriera in altre entità sotterranee che oggi ci propongono un mix di death e thrash d'autore con magnifiche incursioni barbariche nel meglio che si possa udire in ambito estremo, ma sempre sul filo del rasoio ricadente nel rock and roll (o meglio death'n'roll) e comunque in una forma di estremismo morbido e mai troppo putrescente. Uno dei brani che ho maggiormente apprezzato è "Steps in The Void", ma ci sono almeno 5 brani che rendono il cd già meritevole di un immediato e obbligato acquisto. Consigliato agli amanti del death metal, thrash e death and roll oltre che ai brutal metallers più open minded, credetemi, questo disco spacca, non risulta ostico e ripetitivo e non stancherà nemmeno i più oltranzisti, e detto da me ... Il sound si evidenzia sempre sinistro, ma aleggia energico per tutta la durata di questo truce martellamento sonoro, il che fa diventare il loro debutto ufficiale di lunga durata (ben 15 i pezzi) anche un ottimo cantiere per le prossime uscite; certo è il fatto che sarà molto difficile rinnovarsi e uscire dalla massa dell'informe anonimato... ma credo che i Navalm avranno le carte in regola per provarci. Enorme poi l'uso di vocals basse, growl e death di stampo old school ma anche di evil vocals e maligne intonature che ci rendono ancora più l'idea di un quintetto che sa mescolare gli stili senza per questo 'svendersi' al sound commerciale, il genere di riferimento è il brutal death metal, quello di matrice USA con qualche scheggia di Thrash conficcata sul old style, Testament e death floridiano in testa, ma anche impostazione nucleare scandinava e middle-europea. Un album che distruggendo crea mastodontiche ritmiche agguerrite e belle atmosfere surclassanti con cavalcate serpentine e anche epiche (certi assoli e intrecci di chitarre...) e melodie dalle trame sparse qua e là senza disturbare il filo diretto conduttore del genere. E quando si arriva alla traccia "Recovery of Sync" sembra già di avere assimilato alla grande una band di certo facile da capire e da interiorizzare, o per meglio dire apprezzare, e il death metal e thrash che sgorga a flutti sprezzante e frizzante non può che piacere e lascia senza scampo annichiliti all'ascolto, nonostante sia certo che sarebbe impossibile non far ciondolare la testa ad un loro concerto... I pezzi sono vari e nonostante uno stile univoco ci sono anche belle aperture ai solos di chitarre e massicce dosi di death in 4/4 che come un macigno si imbattono sull'ascoltatore senza mai stancare i padiglioni auricolari, ed in definitiva il lavoro è fatto di pezzi brevi e fulminei che si stampano subito nella memoria ma che trascinano alla grande, a me ricordano a tratti qualcosa dei The Crown svedesi e degli dei Obituary/Deicide anche se qui abbiamo anche ritmi più blandi e accelerazioni in puro thrash death americano vorticoso, ma quello che il disco si impone sin dalle primissime note è la dimostrazione di molteplici qualità tra le quali spicca una vena progressive ed ultra-tecnica del basso e delle chitarre, ma è il basso suonato alla Sadus ad impressionare maggiormente. 75/100
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Ilya Pechenyuk: Basso Anno: 2013 |