Home Recensioni Album Sweet Insanity - Believe In Some Kind Of Truth

Sweet Insanity
Believe In Some Kind Of Truth

L'Ep "Welcome to the Teather" ci aveva offerto un assaggio di questa band;possiamo ora assaporare il primo piatto con questo Believe in Some Kind of Truth, album d'esordio per i bolognesi Sweet Insanity. Il quartetto sorge nel 2005 per opera del bassista Luca Betti e da allora la formazione ha sempre goduto di ottima stabiltà, mantenendo intatti i suoi componenti.

La track-list presenta una dozzina di brani, in parte tratti dal demo, e svela un song-writing improntato su di un heavy-rock che trae notevole ispirazione dai Metallica più commerciali di Load e Reload, come anche dai Megadeth, dai Godsmack e dagli Alice In Chains più granitici; ma se ne potrebbero citare tanti altri ancora.
Le sensazioni a caldo non sono delle più entusiasmanti, e i primi ascolti recano un forte scetticismo, dovuto soprattutto all'interpretazione del singer Filippo Darchini, che fin dai primi minuti da l'impressione di non essere in sintonia con il sound strumentale. Accanto a riff energici e ad un drumming deciso, la performance vocale appare in alcuni momenti troppo calibrata, troppo soft; in secondo luogo risulta eclatante il debito stilistico con il frontman dei Metallica, nonchè con Jonathan Davis dei Korn. Ma la questione è più complessa: il disco scorre per gran parte anonimo, inconsistente, lungo un sentiero reso accidentato da gravi lacune sul paino della creatività, con dei picchi nel refrain di "The Last is the Least", che ricorda decisamente un famoso pezzo dei Negrita(quasi un plagio), e in quello di "Libido", sconcertante nella sua banalità ai limiti del grottesco.
E' solo dopo una lenta e faticosa assimilazione che alcuni brani acquistano vita propria e sanno farsi apprezzare. Si salvano dalla mischia la rockeggiante "Ready to Burn", forte di un riff dinamico, lineare, senza compromessi;
"The Cellar Door" rappresenta l'episodio più brillante, una marcia avvincente che nei passaggi di tono assume tinte decadenti, vicine al dark; il ritornello di "Virtues & Sins" effonde una melodia toccante, di grande effetto, e valorizza notevolmente questo brano; "A Funereal Lullaby" è una ballad dai tratti lievi e delicati, intessuta di incastri acustici vellutati che fanno da cornice ad un canto soave.
Parlavamo di primo piatto; questo è un minestrone un po' insipido, acerbo, in cui gli ingredienti si amalgamano spesso in modo confuso e disordinato. Bisogna aggiungere un pizzico di personalità, di stile in più, avendo come punto di partenza ciò che di buono porta con se questo lavoro, e tralasciando le eccessive suggestioni altrui. Un album per molti versi carente, ma che grazie ad alcune giuste intuizioni suona a tratti gradevole e si mantiene nel complesso su livelli accettabili.

65/100


Filippo Darchini: Voce, chitarra
Andrea Grillini: Chitarra
Luca Betti: Basso
Tommy Deserti: Batteria

Anno: 2009
Label: Hurricane Shiva/Andromeda
Genere: Hard Rock/Heavy Metal

Tracklist:
01. Zeia Mania
02. Ready to Burn
03. The Cellar Door
04. The Last is The Least
05. Conflict
06. Dressed to Kill
07. Libido
08. Sons of The Dust
09. Angel
10. Born to be Against
11. Virtues and Sins
12. A Funeral Lullaby

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