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Franco Mussida (CPM, CO2, MAO, ex PFM)

Intervista a cura di Gianluca Livi.

Introduzione

Membro fondatore della Premiata Forneria Marconi, compositore, cantante, virtuoso della chitarra, fine arrangiatore (ha curato la direzione artistica del progetto che ha rinnovato il repertorio di Fabrizio De Andrè nei concerti col gruppo, a cavallo tra anni '70 e '80). 
E’ autore di progetti musicali legati al teatro e al mondo delle arti concrete (pittura e scultura), nonché scultore egli stesso. 


Franco Mussida

Ricercatore attento nell'ambito della pedagogia artistica e della comunicazione musicale, ha fondato nel 1984 il CPM (Centro Professione Musica), allo scopo di formare giovani talenti interessati alla musica come professione, specie nell'ambito del pop e del jazz, ed è promotore di CO2, progetto che da un lato fornisce alternative di intrattenimento e/o nuove professionalità all'interno delle carceri, dall'altro promulga una tecnica sulla possibilità umana di scoprire, attraverso alcuni suoni, i propri sentimenti più intimi e primitivi. 
E' Franco Mussida che, tra le altre cose, parla della PFM per la prima volta dal giorno del suo commiato, avvenuto a distanza di ben 45 anni dalla sua fondazione.

Intervista

A&B: "Dalla Pfm alle carceri". Così, il quotidiano La Stampa ha recentemente titolato un articolo a te dedicato (lo trovate qui). Leggendolo, oltre ad avere contezza della tua sensibilità, non soltanto di artista, ma anche di uomo, si parla del Cpm Institute, del progetto CO2, del MAO. Tuttavia, non sempre si riescono a cogliere i confini esistenti tra queste tre interessanti realtà. Ci aiuti a fare il punto?
Franco Mussida: Confini labilissimi e permeabili, ma tutti con un massimo comune denominatore: “la Musica”. La risposta potrebbe già essere esaustiva. Ma non sarebbe completa senza qualche accenno sugli effetti della Musica su di me, ovvero sul sentirmi da lei appagato nel viverla con piacere come persona, come musicista e concertista, come ricercatore che opera con curiosità e ammirazione tra le forze e le correnti emotive che vivono in tutte le forme di Musica, che ci toccano, e ci condizionano l’umore. Allora un altro confine è l’opera magica della Musica. Una curiosità che mi ha rapito cuore e mente fin da bambino e che racconto in libri come “La Musica Ignorata”, “Le chiavi Nascoste della Musica” o “ La Musica è Fortuna”, oppure attraverso sculture e pitture, o nei nuovi brani che sto scrivendo.


A&B: Questi concetti riguardano anche il tuo percorso con la PFM?
Franco Mussida: La PFM è il gruppo che mi ha permesso di sviluppare la propensione a creare Musica, arrangiare, suonare, cantare, a maturare come persona. Che mi ha permesso di fare l’esperienza di cosa sia l’amicizia profonda, di incontrare milioni di persone direttamente o indirettamente. Persone con le quali ho un legame di cuore. Non poca cosa vero? La Musica sa entrare nel tabernacolo individuale realizzando sposalizi emotivi anche con gente che non incontrerai mai. E’ anche questo il suo mistero. Sarò per sempre grato a tutti musicisti che hanno incarnato negli anni questo gruppo, a partire dal Franz Di Cioccio che ho incontrato da diciassettenne chiamato da Gian Pieretti per fare il chitarrista nel gruppo dei Grifoni, mentre lui ne era il batterista.


A&B: torniamo al CPM e alle altre realtà quotidiane...
Franco Mussida: Il CPM mi ha permesso di restituire molto di ciò che la vita mi ha regalato. Nel 1984, quando nacque, l’Italia era un paese in cui la gran parte delle scuole di Musica Pop stava nei sottoscala dei negozi di strumenti musicali, e i maestri, spesso improvvisati, stavano li per incentivare la vendita degli strumenti. La Musica si suonava prevalentemente ad orecchio. La nostra scuola ha creato una piccola/grande rivoluzione contribuendo in modo determinante a modificare questa tendenza, a creare un’immagine dignitosa e di professionalità nell’area Popolare e nel Jazz, che un tempo non c’era. Con l’aiuto di tanti maestri, è oggi un’organizzazione di prima grandezza che consente ai ragazzi che vogliono campare di Musica di provare a realizzare il loro sogno. 
CO2 è invece un progetto realizzato anche grazie al CPM. Un progetto che concretizza 30 anni di esperienza sugli effetti della Musica sulla struttura affettiva delle persone. I primi laboratori sperimentali sulla pratica dell’auto-ascolto emotivo li feci nel carcere di San Vittore a partire dal 1987. Non ho mai voluto parlare di questo fino a qualche anno fa. Oggi, anche grazie alla SIAE e al Ministero della Giustizia, il progetto è presente in 12 carceri italiane. Offre audioteche di sola Musica strumentale di tutti e generi ed epoche, consultabili solo per stati d’animo prevalenti. Offre tempo di qualità, di calma e di riflessione; permette ai detenuti di vivere veri momenti di raccoglimento, di sollievo emotivo. Chiunque oggi può entrare a far parte del progetto: chi sta fuori può offrire la Musica (solo strumentale) che ama, a chi sta dentro. Ognuno può offrire brani alle audioteche. Per saperne di più basta entrare nell’applicazione www.co2musicaincarcere.it.
Al MAO di Torino (Museo delle Arti Orientali) ho invece presentato il lavoro di ricerca che sta alla base del progetto CO2. Un lavoro sui codici intervallari, sulle forze emotive racchiuse nelle distanze musicali. Lavoro presente, nella sua parte visiva attraverso sculture risonanti, anche in mostre e istallazioni in spazi di Arte Contemporanea (l’ultima è “Musica: Respiro Celeste”, alla Triennale di Milano). Al MAO ho così presentato la sintesi di questo lavoro: “La Musica Ignorata” (Skira 2013). Un libro che racconta e mostra per immagini il mio lavoro sui codici vibranti, i principi che governano appunto anche le  audioteche CO2.


A&B: parlando del CPM, si pensa giustamente ad una fucina di nuovi talenti. Quali le differenze con altre realtà analoghe?
Franco Mussida: Il CPM Music Institute non è soltanto una scuola, dove si impara a padroneggiare la tecnica strumentale, ma una casa dei mestieri della Musica. Un luogo di incontri con grandi professionisti (al riguardo, basta andare sul sito e vedere lo storico degli incontri delle Open Week). Un punto in cui ci si scambiano esperienze, dove possono nascere nuovi progetti artistici, div e si può trovare lavoro. Ma anche un luogo dove si sperimenta molto anche in ambito didattico. Tra poco partiranno laboratori sperimentali per consentire ai ragazzi che vivono la Musica come fenomeno essenzialmente emotivo, di crearsi, in modo del tutto inusuale, solide basi intellettuali e logiche, di approcciare il ritmo in modo diverso. Una ricerca che ha consentito l’applicazione di una didattica e di un impegno che da 33 anni concorre a cambiare i costumi dei giovani musicisti del nostro paese. Nel Dicembre scorso, la commissione ministeriale dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca - NdA) è venuta a visitare il CPM in vista di un possibile riconoscimento ministeriale. Questo riconoscimento sarebbe la fine di un percorso generazionale importante. Servirà certamente a modificare i reciproci approcci, trasformandoli in qualcosa di molto collaborativo.


Foto di Guido Harari

A&B: Quali le differenze tra il CPM e alcuni format televisivi a “vocazione didattica”, come la trasmissione "Amici", ad esempio, altra compagine ove nascono giovani artisti e future promesse del mondo musicale?
Franco Mussida: Oggi il potere visivo e dell’immagine stravince su quello del suono, che è visto come qualcosa di marginale e subalterno. In queste trasmissioni gli autori usano essenzialmente la capacità eccitante della Musica di fare spettacolo promuovono lo sfruttamento del catalogo editoriale. Sono prodotti commerciali di comunicazione fatti benissimo su misura, specie per i “guardoni stravaccati sul divano”. Appagano un diffuso bisogno di emozioni sempre più amplificato e bulimico, lasciandoci sempre più vuoti nonostante ore e ore di visione. Per dare metodiche scosse di eccitazione emotiva si punta alla gara, su chi perde e chi vince, su chi vive e muore... Non riesco a pensare al fenomeno artistico come qualcosa da mettere in gara. L’Arte non ha niente a che vedere con il mito della fisicità dello sport, con l’umana capacità espressiva, è espressione dell’unicità interiore dell’individuo, della sua intimità, della sua fantasia, non è certo cosa da mettere in gara. Certo, il mercato è il mercato… ma la vera esperienza musicale, l’educazione del musicista che ne consegue, è qualcosa di sacro, di totalmente privato che va educato con rispetto in altro modo. Chi sostiene che queste siano vere “scuole”, non sa quel che dice.


A&B: Sono pienamente d'accordo con te. Non a caso, parlando della “vocazione artistica” di queste trasmissioni, ho usato le virgolette. "Fino a qualche anno fa", si legge nel sito ufficiale del CPM, "l’unico percorso di studi in ambito musicale riconosciuto da tutti come utile e professionalmente profittevole era il Conservatorio. La musica moderna è stata spesso considerata alla stregua di un hobby". Tempo fa, lessi un commento di un cantautore, che, parlando della professione riportata nella sua carta d'identità, percepiva un certo scetticismo da parte delle persone a ritenere la sua come una vera professione. Cioè a dire che il “vero musicista”, nella comune accezione collettiva, è soltanto quello classico, non quello rock o pop o jazz. Questo scetticismo è oggi tuttora esistente, a tuo avviso?
Franco Mussida: C’è in me il massimo rispetto per la formazione classica, un rispetto che credo sia  oggi sempre più ricambiato. Faccio notare che il CPM nei suoi 33 anni di esperienza, ha formato migliaia di professionisti che lavorano in molti campi, con picchi di successo notevoli. Che negli anni ‘80 e ‘90 ha consentito a tanti maestri, in seguito certificati dal conservatorio per chiara fama, di fare esperienza formando centinaia di ragazzi, affinando così in CPM la loro didattica. Vista la crisi di iscrizioni, in alcuni conservatori si “sperimenta” oggianche la Popular Music affidando a singoli musicisti il compito di formare una professione. Ma è un lavoro recente.
Che fare il musicista in abito popolare non sia più considerato un Hobby credo sia un fatto acquisito, un fatto compreso anche dalle grandi istituzioni. Ma se ciò è avvenuto lo si deve anche grazie al nostro lavoro e a quello di strutture che con serietà lavorano in questo campo da anni, come la Saint Louis School di Roma. Ne hanno parlato anche recentemente Manuel Agnelli e il Ministro Franceschini in occasione di Itala Creativa, un convegno organizzato da decine di associazioni.


Foto di Stefano Mazzeo

A&B: Hai parlato di massimo rispetto per la formazione classica, auspicando  corrispondenza. Come intuisci venga percepita l'immagine di te, che vieni dal rock, dal prog, nel mondo classico?
Franco Mussida: Il 24 Gennaio sono stato invitato dal Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano a presentare il mio ultimo libro: “Le chiavi nascoste della Musica” (Skira). Tra i presenti c’erano anche alcuni degli insegnanti del Conservatorio che si sono sentiti molto coinvolti e stupiti nel constatare che se è vero che la Musica, specie quella popolare,  pare oggi tutta uguale, in realtà cambiando punto di vista, assegnandole un ruolo diverso, si aprono spazi nuovi ancora tutti da esplorare.


A&B: Quali consigli fornisci ai tuoi allievi allorquando li prepari ad affrontare la collettvità?
Franco Mussida: la nostra Scuola ha un progetto didattico particolare che mette al centro, oltre alla formazione tecnica ed espressiva, anche la crescita della persona in relazione alla Musica. Cerca cioè, oltre al necessario lavoro su tecnica strumentale, teoria, armonia, storia, Musica di insieme etc…, di rendere più consapevole il musicista nel suo lavoro di ricerca pratica di un lavoro, di un pubblico a lui sinergico a cui offrire la sua sensibilità artistica. Personalmente ritengo che il vero lavoro del musicista sia anche quello di orientare consapevolmente l’umore dell’ascoltatore. Più che consigli il CPM offre occasioni per motivare il futuro musicista, per rafforzare le sue radici rendendole le più solide possibili. Il vento della disillusione e dello scoramento soffia spesso forte su chi decide di fare il mestiere più bello ma complicato del mondo: offrire aria umanamente modificata pervasa di suono organizzato. Oltre ai mezzi tecnici servono quindi convinzione, forza, vivere le esperienze con coraggio senza farsi avvilire da una sconfitta ne farsi appagare dal primo successo.


A&B: Una curiosità: cosa è scritto sulla tua carta d'identità, alla voce "professione"?
Franco Mussida: Musicista.


Foto di Filippo Milani

A&B: Il progetto CO2 non si concretizza soltanto nella possibilità di fornire alternative di intrattenimento e/o nuove professionalità all'interno delle carceri ma è anche una tecnica sulla possibilità umana di scoprire attraverso alcuni suoni i propri sentimenti più intimi e primitivi. Una cosa impegnativa, senza dubbio. E' possibile spiegare in breve la cornice entro cui si muove questa tecnica?
Franco Mussida: Il pensiero guida è che la Musica sia uno specchio costruito dall’uomo in migliaia di anni per elaborare un sistema di suoni capace di riflettere l’immenso mondo delle sue emozioni e sentimenti. Successivamente, con l’aiuto del pensiero logico e razionale, ha reso questo specchio invisibile plasmabile, governabile. Siamo fatti di elementi vibranti in continuo movimento. La nostra struttura affettiva è eccitata dalle ogni fora musicale che rinchiude in sé diversi poteri. Così la Musica si posa e, per cosi dire, muore sulla nostro invisibile pelle interiore per rinascere sotto forma di nostalgia, malinconia, gioia, serenità, dubbio, inquietudine, calma interiore, etc., regalandoci, tra i tanti diversi sentimenti: consolazione e compassione. Due sentimenti fondamentali per il cambiamento interiore dei detenuti che vivono anche la carcerazione interiore, rinchiusi nella loro rabbia, nell’odio e nel risentimento. Se questo cambiamento non avviene, se un elemento positivo non li distoglie dalla sovra eccitazione o dalla depressione, i detenuti finiscono per sprecare ciò che di positivo può dare il tempo della loro detenzione.
CO2 è un acronimo di “Controllare l’Odio”. Un veleno. Chiedere a se stessi in modo preventivo che sentimento si vuol vivere e soltanto dopo cercare una Musica che lo rappresenti appieno, è la pratica che permette di riannodare il rapporto con il meglio dell’interiorità di ciascun detenuto. E’ questo il principio che governa le audioteche CO2, lo stesso che ho descritto all’inizio di questa intervista. Un percorso che permette di illuminare meglio il cuore positivo della nostra esistenza inconscia, del nostro mondo emotivo. Portiamo la Musica in luoghi estremi per poterle far fare quello che altre arti faticano a fare: incidere profondamente, grazie alla sua natura educata fatta di timbri e forme precise, sulla natura emotiva della persona, provando a rendendola migliore.


A&B: Sono affascinato dagli interessi non usuali manifestati da taluni musicisti e dalla possibilità di utlizzare gli strumenti in maniera del tutto alternativa, tangente rispetto ai metodi tradizionali, a volte addirittura distopica. Recentemente, per esempio, mi è capitato di intervistare un chitarrista di una band minore di prog (gli Ezra Winston) che si dedica da tempo alla "sonificazione dei dati geofisici in musica", interessante procedura attuata previo supporto di geofisici (qui maggiori info). Mi e ti chiedo, quindi, se questo procedimento che tu hai descritto necessita, analogamente a quello da me citato, del supporto di professionisti specializzati in determinati settori.
Franco Mussida: CO2 è un progetto che ha un suo comitato scientifico, composto oltre che da me, che lo dirigo, anche da un Rettore universitario, da musicisti e psicologi che hanno il compito di verificare i dati che ci arrivano dalle audioteche. Ha un’Università che lo supporta, l’Università degli Studi di Pavia, che proprio il 13 Giugno scorso ha indetto uno specifico convegno sul triennio di sperimentazione 2013-2016 in quattro carceri, fatto da 100 detenuti con oltre 20.000 ascolti fatti. Le audioteche CO2 sono infatti in grado di essere usate dai detenuti sia liberamente sia, attraverso codici d’accesso, come strumenti di osservazione di ascolti di gruppo o di singoli detenuti che hanno fragilità o blocchi emotivi. Oltre che negli atti del convegno, i risultati sono anche su riviste universitarie. Una sintesi si trova anche sul mio ultimo libro “CO2 le chiavi nascoste della Musica”.


A&B: Franco, so che preferisci parlare del presente e del futuro, ma è impossibile non guardare al tuo importante passato. Mi riferisco, ovviamente, alla PFM, alla quale  hai peraltro fatto cenno all'inizio di questa nostra chiacchierata. In una recente intervista (la trovate qui) i membri dei New Trolls che accompagnarono Fabrizio De Andrè nella sua prima tournée, hanno dichiarato che loro fecero da apripista aiutando il cantautore a superare la sua riottosità ad esibirsi dal vivo (Giorgio Usai), mentre voi faceste "un gran lavoro discografico" (Ricky Belloni) e di arrangiamento (Gianni Belleno). Condividi queste osservazioni?
Franco Mussida: Ho curato la produzione artistica, arrangiato diversi brani e scelto personalmente il repertorio da arrangiare, presentandolo ai miei compagni e a Fabrizio, che alla lista aggiunse solo “Giugno 73”. L’operazione discografica è stata solo la conseguenza di un progetto che a mio avviso rimane unico nel panorama italiano. Un progetto molto diverso da quello dei New Trolls. Si è trattato infatti di rivestire ad uso di generazioni diverse ma complementari, molto del lavoro di Fabrizio, dandogli una lettura nuova. Per essere più chiari di trasformare musicalmente “La Canzone di Marinella”, il cui originale sapeva musicalmente di funerale, nella percezione di qualcosa di meno angosciante e leggero, trasformandola nella favola poetica che c’era nel testo scritto, ma non sulla carta da Musica. Di rendere ancora meno drammatico “Il Pescatore”, rivestendolo di una gioia liberatoria che solo in parte aveva. Di trasformare l’etnia stantia di un paese del sud dove viveva “Bocca di Rosa”, dandole un tocco di ironia e di modernità in più, del tipo di quella data ad una speciale tarantella di nome: “E’ Festa”. Di assecondare ancora di più l’angoscia introspettiva, il dolore di un brano come “Amico Fragile”, con il suono e l’energia di una disperazione che arrivava anche dalle corde di una chitarra elettrica maneggiata dal sottoscritto. Detto questo, è stato durissimo gestire fino alla fine il progetto. La riottosità di Fabrizio verso il pubblico persisteva, al punto che a volte si trasformava in volontà di scontro. Così, se i New Trolls hanno certamente e meritoriamente rotto il ghiaccio, questo si era riformato, e ci è toccato romperlo di nuovo. Ma il progetto con PFM ha un suo merito speciale, forse non abbastanza sottolineato: quello di aver fortemente stimolato Fabrizio in modo sia adrenalinico che meditante, facendo sbocciare in lui un nuovo e più appassionato rapporto con la Musica. Non l’avesse fatto con noi quell’esperienza, avrebbe probabilmente smesso di frequentare i palcoscenici e smesso di scrivere canzoni. E’ una sua dichiarazione, non un mio pensiero.


A&B: Io ti chiedo, invece, quali le differenze tra il lavoro con Fabrizio effettuato dalla PFM e quello concretizzato da Mauro Pagani con lui negli anni immediatamente successivi?
Franco Mussida: La differenza è il linguaggio musicale e il vestito artistico del protagonista. Abbiamo lavorato su due pianeti sonori diversi e con due diversi Fabrizi De Andrè. La PFM su sonorità, timbri e linguaggi che mischiavano la tradizione occidentale nei suoi generi principali, Folk, Rock, Classica, Jazz e spirito popolare italiano dai profumi celtici e francesi. Il tutto mischiato e orientato da un gusto musicale che partiva dal rispetto sacro delle melodie originarie. Il lavoro di Mauro ha un linguaggio fatto di forme, suoni e approcci di una tradizione arcaica medio orientale e meditarranea che in parte bacia anche il nostro paese. Se nel progetto con PFM, Fabrizio interpretava fondamentalmente il Fabrizio delle origini, quello di “Crêuza de mä” - e, tutto sommato, anche degli album successivi - è un diverso personaggio. Più crudo, sanguigno, con una battuta genovese si potrebbe anche dire, più camallo. I camalli sono i lavoratori del porto che un tempo lavoravano a braccia nude sollevando pesi ingenti. Un modo per dire che Fabrizio viveva quasi carnalmente i suoi racconti, anche grazie allo schermo del dialetto che lo avvicinava di più allo spirito popolare. Un Fabrizio che si era definitivamente tolto la giacca dello chansonnier distaccato e sognante. In tutto questo mi inorgoglisce ricordare che la mia chitarra è presente in alcuni dei suoi dischi successivi a i due realizzati con noi, anche in "Crêuza de mä": mio è l’assolo in “A Dumeniga”.

A&B: Gian Piero Reverberi ha recentemente usato parole di apprezzamento, ma anche di forte critica nei confronti della PFM, asserendo, da un lato che i vostri arrangiamenti "hanno di fatto reso possibili i concerti dal vivo effettuati da Fabrizio", dall'altro che "tutto ciò che la Premiata Forneria Marconi e/o altri hanno prodotto post mortem nel nome di De André (...) sembra una "speculazione" su Fabrizio" (lo ha detto a noi di A&B qui). Vorrei un tuo parere a riguardo.
Franco Mussida: Che gran musicista Reverberi! A quei tempi ci chiamò diverse volte a suonare nei suoi lavori, accadde anche nel 1970 ne: “La Buona Novella”. Speculare non è certo un bell’aggettivo. In questo caso poi appiattisce, azzera e inibisce ogni altra considerazione, specie artistica. Ma Gianpiero, con quella sua barba, con quella sua mascella simpatica può dire ciò che vuole, lo stimo e non voglio certo entrare in polemica con lui. Capisco però bene che da buon genovese può essergli venuto istintivo pensare subito alle palanche… (risate).
Scherzi a parte, trovo ingeneroso e limitativo affermare che i nostro lavoro sia servito solo a permettere a Fabrizio di esibirsi dal vivo. Molti di quelle rivisitazioni dettero alle sue canzoni nuova vita, nuove immagini musicali ed emotive che durarono negli anni. Ne accennavo poco fa. I tour nacquero dalla forte richiesta popolare di riascoltare quelle canzoni suonate da chi le aveva pensate in quel modo. Proprio grazie al lavoro con Fabrizio si espanse anche la propensione a rivestire con abiti nuovi Musiche altrui, come in PFM in Classic. In questo alveo è da ricordare “La Buona Novella” rielaborata nel 2010. Senza pensare al tributo, per chiudere un capitolo importante, rivestimmo con entusiasmo e di una diversa musicalità, quel lavoro giovanile arrangiato proprio da Gianpiero Reverberi. Fu un riadattamento, come accadde per il lavoro del 1979. Negli Stati Uniti, riadattamenti o arrangiamenti sono considerati opere d’ingegno con diritto d’autore. Qui, no e Gianpiero lo sa bene. Non guadagnai, non guadagnammo una sola lira da quegli arrangiamenti. Conservo però ancora la partitura del Pescatore, con tutti i suoi famosi obbligati. Un giorno o l’altro la metterò in vendita per beneficienza. Non considero quindi quelle reinterpretazioni musicali meri arrangiamenti di mestiere,  ma invenzioni che meritavano di vivere nel tempo alla stregua di tanti interessanti adattamenti di testi teatrali.


A&B: A metà degli anni '80, rilasciasti una lunga intervista audio ai tipi di Paperlate, di cui soltanto un estratto venne pubblicato. Ho ascoltato recentemente quella registrazione e sono rimasto colpito da due degli argomenti da te trattati: per prima cosa, parlasti dei Pooh come di una realtà unica in Italia, in quanto a longevità e successo, e di Dodi Battaglia come uno dei migliori chitarristi italiani (il giudizio è stato riportato anche nella recente intervista da noi effettuata a Red Canzian (che si trova qui). Inoltre, tratteggiasti i Genesis degli anni '80 come "spiazzanti", capaci di alternare pezzi validissimi (come "Mama") ad altri imbarazzanti (come "That's All"). Se dovessi affrontare nuovamente quegli argomenti - oggi che Pooh e Genesis non suonano più e fanno parte della storia della musica - confermeresti quei giudizi? Li integreresti con nuove opinioni?
Franco Mussida: I Pooh sono stati un emblema della canzone romantico-melodrammatica italiana, nonostante le mode li abbiano costretti a cambiare diversi abiti timbrici e generi. I loro testi hanno trattato argomenti umanamente adatti a soddisfare e stimolare proprio un grande pubblico dalla vena romantica. Negrini, bravo e stimato autore, non amava certo affrontare con le armi della rabbia e della denuncia incarognita, certe tematiche esistenziali spesso presenti in modo efficace in tante canzoni dei Pooh. 
Per l’amico Dodi, parla la sua carriera passata e presente. Si aggiunga che a lui piace sperimentare. 
I Genesis hanno certamente contribuito, come la PFM, a ridare un diverso ruolo alla forma canzone, arricchendola di immaginazione.


A&B: Negli anni '70, in Italia, taluni liquidavano malamente la PFM, tra gli altri motivi a causa del successo ottenuto negli USA, in un periodo in cui si guardava a quel paese con occhio critico. Vorrei un tuo parere a riguardo.
Franco Mussida: Conservo stupendi cimeli del periodo, dove si inneggia a Mamone ladrone o a noi della PFM come servi del potere. Personalmente mi sono sempre considerato un musicista libero e orgoglioso di fare questo mestiere. Un mestiere che non dovrebbe avere lo scopo di fare rivoluzioni politiche, ma interiori; certamente molto più concrete ed efficaci nel tempo.


A&B: Infine, una domanda sugli anni 2000. Ritengo "Serendipity" un album assai interessante, sebbene atipico, per la presenza di brani completamente diversi da quanto fatto in passato e quanto si farà in futuro, forti di moderne sonorità pop-rock, fugaci ma riuscite apparizioni nella compagine elettronica, magnetismi tipici del genere prog. Personalmente ho apprezzato moltissimo la combinazione finale rappresentata da "Sono un dio" e "Exit", una delle cose più prog mai fatte dalla PFM. "Exit" è, a mio modesto avviso, una seconda "Impressioni di Settembre", seppur strumentale. Pur tuttavia, dal vivo, sia l'album tutto, sia questo binomio finale, sono stati piuttosto ignorati. Perchè?
Franco Mussida: I brani finali non sono bastati a far apprezzare l’insieme di questo lavoro. Un  disco pensato per avere come interlocutore il grande pubblico, o certamente un pubblico molto più ampio di quello che avevamo. Il fine era quindi quello di produrre diversi pezzi “radiofonici”. Affidare la produzione a Corrado Rustici aveva proprio questo scopo. Ma le radio non li fece propri. E così si finì per insabbiarci in una terra di nessuno. Scopo non raggiunto quindi. 
Ogni grande successo popolare ha tempi e modi precisi per comunicare un’identità artistica capace di sposare l’interesse emotivo di tanta gente. Quelli di “Serendipity” evidentemente non erano in fase con l’onda del momento, e la risacca ci risospinse a riva a meditare.

A&B: Dando uno sguardo anche alla tua discgrafia solista, "Radici Di Terra" è stato un tuo singolo, estratto dall'album "Racconti della tenda rossa" che vede la tua collaborazione con Angelo Branduardi e Fabio Concato. Io vorrei un tuo personale parere su questi due artisti. Come mai scegliesti di collaborare proprio con loro? Voglio dire: pensando a Mussida, si pensa ai virtuosi della chitarra, alla sontuosità del prog o alla raffinatezze del jazz -rock. Perchè Concato e Branduardi?
Franco Mussida: Se si ascolta “Racconti della Tenda Rossa” si nota un interesse speciale per la parola, per i testi. Il primo brano si chiama appunto “Voci” e non ha Musica. E’ puro testo reso ritmico da una sovrapposizione di voci appunto. Ma c’è anche un interesse per le atmosfere dove gentilezza e consolazione vengono prima di tutto. Avevo iniziato da quattro anni a lavorare nel carcere di San Vittore. Fabio Concato e Angelo Branduardi oltre che amici e bravi cantanti, rappresentavano umanamente benissimo lo spirito gentile che cercavo e che promuovo ancora oggi.


A&B: Come mai la collaborazione si è limitata ad un solo album?
Franco Mussida: Il lavoro di tutti noi aveva modi e fini diversi. Io fui assorbito dal CPM Music Institute e dal lavoro nelle carceri che mi assorbì completamente. Poi è ripartita la PFM.


A&B: Hai parlato di nuovi brani. Oltre all'insegnamento e ai progetti sopra citati, è in programma un tuo disco solista?
Franco Mussida: Non credo sia opportuno parlare di disco solista. Sono un musicista, scrivo libri, dipingo e scolpisco. Sono una persona libera di esprimermi nei modi che considero più consoni al momento. Quindi non sono un “solista”, sono un artista che prima o poi tornerà sul palco con un nome e un cognome, con un’identità frutto di anni di esperienze le più diverse. Dovessi fare un concerto, lo farei simile a quello che negli ultimi quattro mesi i detenuti di 12 carceri hanno visto ogni volta che inauguravo un’audioteca nel loro istituto, con tanta Musica strumentale e molte riflessioni.


A&B: Per te, ha ancora senso parlare di Progressive, oggi?
Franco Mussida: La Musica è un fatto oggettivo, soggettivo il modo con cui ciascuno ne fruisce.
Se se ne parla ancora, vuol dire che un senso per poca o tanta gente quella parola ce l’ha ancora. C’era il Futurismo. Oggi ci sono i nuovi Futuristi. C’era il Progressive, ci sarà un nuovo Progressive. E poi c’è un mercato che evidentemente lo vuole, anche se molto di tutto questo è nostalgia. Ma la nostalgia è pur sempre un sentimento pervaso d’amore, anche se un amore passato, dissolto, che può vivere solo nel ricordo.


A&B: Ultime parole per i nostri lettori e i tuoi fans.
Franco Mussida: Grazie di cuore per il vostro affetto e per la stima che ho sempre sentito e sento ancora. Ho provato a ricambiare battendo tante strade, ma il fine è sempre stato quello di raccontare agli ascoltatori che cosa meravigliosa sia la Musica, quanto possa renderci migliori e quanto sia indispensabile provare ad usarla con sempre maggiore rispetto è profondità.
Ho tante cose da fare. Spero di incontrarvi presto.

 

 


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