Non una rappresentazione della nota opera di Molière, ma una sua rivisitazione intelligente ed arguta che permette una nuova chiave di lettura, previa castrazione dei tre intermezzi originari e l'inserimento di un finale totalmente rinnovato. Emilio Solfrizzi ci presenta un Don Argante piuttosto spassoso, quasi bicefalo, nella sua capacità di agire in bilico tra follia ipocondriaca e (una più rara) lucida capacità valutativa. L'attore, peraltro, mostra molto coraggio, omaggiando Totò più volte, riprendendone diverse movenze, una manciata di battute, alcune espressioni facciali. Pare, in questo modo, voler mettere alla prova il suo pubblico compiacendosi di indirizzargli domande soltanto ipotizzate: "vediamo se riconoscete questa o azzeccate quest'altra?", sembra egli pensare sornione, instaurando pertanto un rapporto di tacita complicità con il suo pubblico senza alcuna necessità di bucare la quarta parete. Quanto al cast attoriale, preme evidenziare l'operato di Lisa Galantina perfettamente in grado di rivestire la servetta Tonietta di intelligente sagacia popolana, così come inizialmente concepito dallo scrittore francese. Volendo poi analizzare le compagini caricaturali, ove l'autore soleva chiaramente indirizzarsi con il sommo e chiaro piacere di sublimare il grottesco, preme segnalare l'operato di Luca Massaro, che sommerge il ruolo del giovane medico di irritante goffaggine spingendolo quasi fino alla demenza innata, e di Sergio Basile, che offre uno spaccato di esperienza attoriale veramente impressionante, coprendo un range interpretativo piuttosto esteso, caricando il suo personaggio di altezzosa pomposità, fastidiosa spocchia, vocazione manichea caricata di forma ma priva di alcuna sostanza. Quanto alla sceneggiatura e alla regia, Guglielmo Ferro sceglie di recuperare lo sferzante attacco che, sul finale, Beraldo opera nei confronti della medicina recuperando il quadro di allora, attestante lo scarso livello scientifico di accademici e studiosi. Il finale pare totalmente inedito: considerazioni solitarie di stampo malinconico ad opera del protagonista si incuneano repentinamente in un contesto fino al quel momento totalmente ilare, permettendo una intelligente riflessione sulla inconsistenza delle illusioni e sulle battaglie che ogni uomo conduce nel suo intimo contro i suoi demoni interiori. L'opera si chiude sottolineando la solitudine frastornante sofferta dal personaggio principale, con un Solfrizzi che, ormai totalmente spogliato della sua attitudine comica, finanche giullaresca, magnetizza l'uditorio con uno spaccato drammatico di grande suggestione. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 6 dicembre 2022. |
Compagnia Moliere
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