Servizio fotografico a cura di Benedetta Andrigo
Il giorno che inventeranno la macchina del tempo qualche viaggio a recuperare le tournee perdute per ignoranza, pigrizia o ben più scusabili questioni anagrafiche diventerà una sorta di obbligo morale. E, per me, una delle prime tappe sarà sicuramente il 1979, anno degli storici concerti PFM-DeAndrè.
A quei tempi entrambi i soggetti erano in una fase di profonda trasformazione artistica, impegnati in una lucida ricerca di una identità musicale nuova, uno spartiacque significativo per affrontare il decennio musicale che stava nascendo sotto auspici molto diversi da quello appena trascorso.
Fabrizio era reduce dalla prima collaborazione con l’allora giovanissimo Massimo Bubola, scudiero investito dall’onere di incanalare le sonorità su un binario più vicino ai canoni del rock.
La PFM, invece, era a un bivio. Il periodo americano si era chiuso con Jet Lag, un lavoro ottimo per critica, ma non certo un grosso successo di pubblico. Il successivo Passpartu aveva sancito il ritorno alla lingua italiana, ma, nonostante buoni propositi di evoluzione, sembrava portare con sé un retrogusto interlocutorio.
Dopo la registrazione del disco e l’addio di Bernardo Lanzetti, il gruppo stava addirittura rischiando lo scioglimento.
Con queste premesse, l’insolito duo decide di azzardare un tour insieme. Non un semplice cantautore accompagnato dai bravi musicisti, come imporrebbe la normale etichetta, ma un progetto di rivisitazione musicale del De Andrè pensiero.
Oggi, a oltre venticinque anni di distanza, i reduci di quella stagione hanno deciso di riportare sul palco quei suoni, in un sincero e doveroso omaggio alla memoria di Fabrizio.
Ancora prima di iniziare a suonare, Di Cioccio si scusa per le voci che senz’altro non saranno all’altezza di quelle immortalate a suo tempo sul disco.
Precisazione inutile, una delle caratteristiche peculiari di queste canzoni è che sembrano cucite sulla corde vocali del proprio autore.
Il suono, invece, è tutt’altro che arrugginito od obsoleto e la visione del palco permette di apprezzare al meglio anche i virtuosismi più discreti, quelli che durano lo spazio di pochi secondi e sul vinile rischiano di passare inosservata.
Pur rimescolando i pezzi, la scaletta segue una logica precisa: tutto il disco contrassegnato come Volume Uno, con l’esclusione di Andrea e l’aggiunta della coppia "Maria nella bottega del falegname" e "Il testamento di Tito", col vertice più alto toccato da strofa finale e relativo assolo di "Amico fragile", il manifesto più riuscito e significativo del sodalizio.
Basterebbero questi pochi minuti per avere la conferma che, fra tutti coloro che in questi sette anni si sono rincorsi a rivisitare la musica di De Andrè, a volte anche appropriandosene in modo per certi versi indebito, quelli sul palco sono fra i pochi che ne hanno pieno diritto.
Finito il primo atto, da un gruppo di sessantenni ci si aspetterebbe una pausa corroborante. Invece lo spettacolo continua senza sosta, con la parte PFM.
Dopo trent’anni torna in scaletta "L’isola di niente", un brano che, come ammetterà anche Di Cioccio a fine esecuzione, è molto complesso e faticoso da suonare dal vivo, ma proprio per questo divertente.
Perché, da qui in avanti, questo sembra essere il palco: un parco di divertimenti.
E i più bambini sono Mussida, che passa da una chitarra all’altra, e Di Cioccio, che quando lascia il microfono per la batteria pare diventare immortale, una specie di Rocky Balboa dei tamburi. Insieme a classici come "Out of the roundabout", "La luna nuova", "Maestro della voce" (con immancabile dedica all’altro grande scomparso, Demetrio Stratos) e "Suonare suonare", compare anche l’inconsueta "Harlequin", a dimostrazione che, alla loro età, questi signori stanno ancora insieme senza nessun altro collante se non la voglia di suonare e rimettersi ogni giorno in gioco.
Solo la fine del concerto e i bis sono prevedibili: "Il pescatore" (lasciata volutamente fuori dal primo atto), "Impressioni di settembre" (presentata come la canzone che ci accompagnerà per sempre) e una "Celebration" a cento all’ora, a rincorrere le pulsazioni di un Di Cioccio ormai stremato, ma ancora capace di portare sotto il palco un pubblico fino a quel momento, in verità, freddino.
Ma, almeno dai primi commenti a luci accese, soddisfatto.
Franz Di Cioccio: Batteria, voce
Franco Mussida: Chitarra, voce
Patrick Djivas: Basso
Guests:
Lucio Fabbri: Violino
Gianluca Tagliavini: Tastiere
Piero Monterisi: Batteria
Data: 16/12/2006
Luogo: Mantova - Palabam
Genere: Progressive Rock