Home Recensioni Live Michael Schenker’s Temple of Rock + Pavic - Roma, 05 Dicembre 2015

Michael Schenker’s Temple of Rock + Pavic
Roma, 05 Dicembre 2015

Roma, 05 Dicembre 2015 - Crossroads Live Club - Roma

Ore 20.30 di una umidissima serata invernale: il Crossroads. Occhio alla interessantissima programmazione) ha appena aperto le proprie porte ai primi arrivati per questa serata musicale all’insegna del Rock, dopo che alcune voci di corridoio sembravano voler mettere in forse lo svolgersi dell’evento a causa di incomprensioni con il tour manager della band principale. Scongiurato il pericolo grazie all’egregio lavoro diplomatico svolto dall’organizzazione (Good Music) il locale ha finalmente iniziato a riempirsi.
L’apertura del concerto è affidata ai Pavic, complesso metal capitolino, sulla scena dal 2005, qui al terzo album (dal titolo “Is war the answer?”). La musica è rude e grintosa e lo show dura circa un’ora durante la quale i cinque componenti del gruppo hanno modo di esprimere le loro potenzialità, in particolar modo l’ottimo chitarrista, anche fondatore della band, Marko Pavic, in una selezione di brani tratti soprattutto, ma non solo, dall’ultimo lavoro, tra cui la suggestiva “Song for the rain”. Non meno valide “Welcome to my world”, dedicata alla nostra beneamata classe politica e la cover dei Duran Duran “Notorius”.
Unico neo della loro esibizione, la non perfetta calibratura del mixaggio, a causa del quale la chitarra distorta saturava e sovrastava spesso tutti gli altri strumenti, in particolar modo la voce, che in più occasioni faticava ad emergere.

Ore 22.00 circa, i Pavic salutano quindi la platea con l’ultimo brano in scaletta per lasciare il posto alla band principale e le ultime parole di commiato del cantante sono “…ciao a tutti, ora lasciamo il posto ai veri mostri della musica…perché questi sono veri mostri…”.

Pochi minuti per preparare la strumentazione e fare il check-sound. La scena è simmetricamente adornata ai due lati dall’immagine, retro-illuminata di color rosso sangue, che i Michael Schenker’s Temple of Rock hanno scelto come proprio vessillo: due chitarre incrociate con al centro un teschio, il tutto sovrapposto ad una croce gotica.

Sul palco salgono quindi cinque figuri moderatamente attempati (a meno di Findlay, visibilmente il più giovane) incarnazione dell’icona da vera rock-star: capelli lunghi, giacche rigorosamente di pelle, segni sul volto di una vita vissuta “on the road”, movenze scenografiche da poster.

I presupposti quindi per un rock-show in piena regola ci sono tutti: immagine curata in tutti i suoi dettagli compreso il nome della band, quanto mai evocativo.

Le luci si spengono ed ecco che lo spettacolo inizia. E che spettacolo!!

Per due ore, senza interruzione, i maturi signori di cui sopra si esibiscono in una successione di brani di puro Hard Rock, quello vero, sano, grintoso e genuino, dando dimostrazione della grande professionalità acquisita nel tempo, senza minimamente accusare il peso degli anni.

Questo è probabilmente uno degli aspetti più gradevoli delle band composte da musicisti che hanno alle proprie spalle un considerevole bagaglio artistico, acquisito in tanti anni di carriera, ma che allo stesso tempo trovano ancora piacere nel suonare, senza sentire troppo la fatica del tempo che passa: riuscire cioè a gestire lunghe sessioni musicali ad altissimo livello.

Il curriculum vantato dai musicisti è infatti di tutto rispetto: Michael Schenker, ex Scorpions e UFO, oltre ad una brillante carriera solista nella quale ha espresso il meglio di sé, divenendo uno tra i migliori chitarristi al mondo, nonché punto di riferimento del settore; Herman Rarebell e Francis Buchholz, entrambi ex Scorpions; Doogie White, ex Rainbow.

E proprio in omaggio a questo variegato assortimento musicale, gli artisti si cimentano in una serie di brani tratti dal loro album, “Spirit On A Mission”, ma anche, e soprattutto, dai lavori passati: “Doctor Doctor” e “Rock bottom” (Phenomenon, 1974, UFO), “Natural thing” (No Heavy Petting, 1976, UFO), “Lovedrive” e “Coast to Coast” (Lovedrive, 1979, Scorpions), “Rock you like a hurricane” (Love at first sting, 1984, Scorpions), “Black out” (Black out, 1982, Scorpions).

Dal punto di vista tecnico tutti e cinque i componenti sono ineccepibili. Il feeling creatosi tra loro traspare in tutte le sue forme e l’armonia, se non altro quella musicale, regna sovrana per tutta la durata dell’esibizione: niente sbavature o indecisioni di sorta.

La superstar della serata è, manco a dirlo, Michael Schenker che, sfoggiando la sua collezione di chitarre elettriche, tutte rigorosamente dal “corpo” biforcuto (compresa quella a doppio manico), si destreggia in una serie di riff e di assoli eccezionali, esibendo, con disinvoltura disarmante una tecnica ed una velocità ammirevoli e non comuni.

La padronanza dello strumento è stupefacente sia in termini di fluidità che in termini di sound. Un vero talento che esplode con il brano “Rock bottom”, all’interno del quale trova spazio un assolo di oltre sette minuti che manda in visibilio il pubblico.

Ottima l’estensione vocale di Doogie White, capace di esprimersi al meglio anche sulle tonalità più elevate, ma soprattutto in grado di gestire quelle generalmente più difficili da raggiungere dal vivo, senza penalizzare troppo la resa sonora, riuscendo così a mantenersi egregiamente entro i suoi limiti, evitando di strafare e stonare o steccare inutilmente. Come dire: meglio tanto fatto bene, che tantissimo fatto male.

Incisivo e potente Herman Rarebell, la cui batteria pulsante scandisce tutto lo show con notevole precisione, senza mai cadere nella banalità e cadenzando con personalità i momenti topici delle esecuzioni, accompagnato dall’egregio bassista Francis Buchholz, il cui supporto ritmico garantisce un fronte sonoro compatto e corposo.

Ultimo ma non ultimo, Wayne Findlay, che si alterna alle tastiere ed alla chitarra di accompagnamento, il cui prezioso supporto contribuisce a completare l’effetto acustico e melodico degli assoli del leader. Buone comunque anche le sue capacità soliste.

Una nota di merito va infine dedicata alla gestione dell’amplificazione audio: chiara, potente, d’impatto, ma mai distorta o saturata, grazie alla quale tutte le frequenze risultano gradevolmente apprezzabili per l’intera esibizione. Caratteristica, questa, non sempre riscontrabile nei concerti Hard Rock dove spesso si predilige l’assordamento della platea, piuttosto che la godibilità della musica.

Il concerto si conclude così alle 24.00 con un commiato finale di White che, secondo quanto mi è stato possibile capire dalle mie limitate conoscenze di inglese, comunica alla platea che questo è stato non solo l’ultimo concerto del loro tour mondiale, ma addirittura la loro ultima esibizione come Temple of Rock.

Auguriamoci che il mio traballante inglese mi abbia fatto intendere male……anche se quanto proferito mi è sembrato fin troppo chiaro.

In ogni caso, se in futuro avrete l'occasione di vederli dal vivo, non lasciateveli sfuggire: lo spettacolo è assicurato.

 


Michael Schenker’s Temple of Rock
Michael Schenker: Chitarra
Francis Buchholz: Basso‎
Herman Rarebell: Batteria
Doogie White: Voce
Wayne Findlay: Tastiere, chitarra

Pavic
Joe Calabro: Voce
Marko Pavic: Chitarra
Aleks Ferrara: Basso 
Lorenzo Antonelli: Tastiere 
Antonio Aronne: Batteria

Data: 05/12/2015
Luogo: Roma - Crossroads Live Club
Genere: Hard & Heavy

 

 

 

 


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