Mi sono detto: finalmente metto sul piatto un nuovo album in studio dei Jethro Tull dopo tanti anni di raccolte, di live e di esperimenti non proprio felici a nome del solo Ian Anderson. Paradossalmente quella che doveva essere una forza risulta una debolezza del disco: lo "studio" si sente fin troppo in un suono che sembra scaturire dal computer più che da strumenti reali, un po' monocorde, senz'anima. E questo mi sorprende, in genere Anderson dona soprattutto energia, cambi di ritmo vertiginosi (oh My God), musica appunto. Non solo melodia ma sentimento. Qui no, qui regna il "mestiere" più che il "talento": "The Zealot Gene" è troppo perfetto, troppo intriso dei cliché che ci aspettiamo noi fan per essere spontaneo, c'è tutto ciò che ti aspetti, il solito folk-rock, la solita chitarra, il solito flauto, i soliti riff messi li apposta per farti sussultare ... insomma, il solito luogo sicuro dove si vorrebbe sempre stare. Ma che voglia di aprire la porta ed andare a scoprire cose nuove! Non mi ha mai dato fastidio neppure una voce che sfortunatamente è diminuita anno dopo anno ma che comunque è rimasta un segno distintivo e caratteristico dei Jethro... ma qui l'estrema accuratezza con cui sono stati forgiati i brani, in modo che si adattessero alle attuali condizioni di Ian e che si potessero cantare anche nei concerti live, contribuisce ad appiattire l'ascolto. Tattica anziché arte. Attenzione, non che non ci siano momenti brillanti come "The Betrayal of Joshua Kynde", con un incedere ritmato dal pianoforte che dialoga con il flauto di Anderson (peccato per la batteria troppo rullata) o ancor meglio "Mine the mountain" una ballad che parte contenuta, priva di orpelli ed essenziale nell'incedere del piano e con il flauto che cerca a poco a poco di prenderne possesso, fino ad arrivare ad una fusione che apre il brano a fughe ed atmosfere evocative classicheggianti per poi tornare all'incedere iniziale, cupo e ripetitivo. Interessante anche l'uso della voce che assume toni narrativi rimanendo comunque sempre in primo piano. Interessanti anche "The Zealot Gene" e "Shoshana Sleeping" che presentano una architettura musicale molto vicina ai Jethro tradizionali: flauto rauco che dialoga con una ritmica sincopata, chitarra che esplode in riff quasi metal dai timbri molto vicini a quella di Barre, introduzioni al pianoforte (alla "Locomiotive Breath"), basso e batteria a fare il loro dovere senza disturbare troppo. Nell'album c'è quindi tutti il patrimonio genetico Tulliano e non mancano persino gli inserti di armonica e di strumenti acustici che riportano il calore del blues degli esordi. Il tutto però troppo "gessato", costruito a tavolino. Di solito di un album si dice che è un'opera d'arte, di fantasia, che conquista l'immortalità grazie alla "genialità" ed al "pensiero". Qui abbiamo invece un buon prodotto, un'abile esecuzione derivante dal mestiere che inevitabilmente invecchierà nell'oblio. Ed allora meglio concentrarci su altri aspetti positivi, ad esempio i testi che sono profondi ed importanti. Paragonabili ad un "concept", hanno affinità con i temi della narrazione biblica e mitologica, ad uso e consumo di una “osservazione” di Anderson della vita di ogni giorno e delle relazioni che legano le persone tra loro e con le cose. Parabole e racconti per analizzare l'Uomo d'oggi, la sua indole, i suoi pregi, i suoi difetti. Temi vicini a quelli del capolavoro “Aqualung”: la lotta tra buono e cattivo, tra meglio e peggio, tra realtà e finzione... che rimangono costante spunto di indagine, anche introspettiva, dell’artista. Ecco quindi "The Zealot...", una denuncia contro gli estremismi ed i loro profeti che fomentano odio e divisione - molto attuale -, ecco "Shoshana...", il momento del risveglio, della separazione tra chi rimane e chi deve partire, ecco "The Betrayal.." analisi di chi tradisce e del perché lo fa, oppure "Mine is the Mountain", il manifesto della consapevolezza che nulla ci appartiene qualunque sforzo si faccia... Per concludere, "The Zealot Gene" contiene una buona collezione di brani tipicamente "Andersoniana" più che "Tulliana" che scorrono abbastanza innocui e che sembrano comunque già sentiti (cosa non propriamente positiva anche se mi fanno trovare ciò che cerco quando acquisto un disco dei Jethro Tull). In ogni caso un'uscita migliore di tanta altra scorie che attualmente invadono il panorama musicale italiano e non solo (avete sentito Sanremo?). Questo nonostante una produzione infelice ed un packaging essenziale, con fotografie fredde, in bianco/nero e poco significative, salvato solo dal libretto che riporta tutti i testi. Che sia il momento di dire "Too old to rock'n Roll"? |
Ian Anderson: flauto, chitarra acustica, armonica, voce Tracklist: |