Un disco per fare musica, un altro disco per guadagnare. O meglio, detto alla Tolkien: uno per incatenarli, un altro per ghermirli. I più attenti tra coloro i quali hanno seguito Sting nel suo percorso artistico, a partire dai Police e poi per tutta la sua lunga carriera solista, avranno notato come il “pungiglione” britannico si sia sempre barcamenato in maniera egregia, come un equilibrista, tra musica pop commerciale di massa e musica di qualità per orecchie sopraffine. Per la serie: un colpo al cerchio ed uno alla botte. Basti pensare all’album The dream of blue turtles, col quale è riuscito a far diventare fenomeni radiofonici dei musicisti jazz, rispettandone la caratura artistica e allo stesso tempo adeguandone le caratteristiche stilistiche per utenti meno esigenti. Con il passare degli anni ha iniziato a prediligere sempre più l’aspetto commerciale, senza però abbandonare del tutto la musica di nicchia. Un esempio lampante sono due tra le sue ultime incisioni intitolate If on a winter’s night e ancor di più The last ship, due dischi folk, entrambi bellissimi, a dispetto di quanto sostenuto da alcuni addetti del settore evidentemente poco disposti o capaci di ascoltare un disco meglio di quanto sappiano fare i tanti ascoltatori distratti e superficiali di cui si compone buona parte della platea radiofonica. Da vero marpione ha ora giustamente pensato di rifocillare il portafogli e si è ripresentato con questo album intitolato 57th & 9th. Molto simile, per sonorità e strutture, ai passati Mercury falling e Ten summoner’s tales, 57th & 9th non è un vero e proprio album rock nel senso stretto del termine, ma è qualcosa di più di un banale disco pop. È una incisione intelligente nella quale è tangibile la manualità dei musicisti coinvolti, e decisamente più godibile della finta e pacchiana ricercatezza di “Sacred love” e “Brand new day”, nei quali le atmosfere mistiche venivano invece contaminate da una elettronica fin troppo predominante. La seconda parte del disco, quella che io preferisco, è più acustica, introspettiva e pacata rispetto alle prime tracce, strutturate invece evidentemente per una maggiore diffusione mediatica. Proprio questo contrasto melodico rende comunque il lavoro adatto per tutti i gusti. Non sono molti i musicisti che riescono a conservare per così tanto tempo il consenso di critica e pubblico, e Sting è uno di questi, se non il maggior rappresentante. In tanti diranno “... finalmente Sting è tornato ...”. Per quanto mi riguarda non è mai andato via, ma dopo aver ascoltato con piacere questo 57th & 9th, vado subito ad ascoltare The last ship, così posso anche applaudire. |
Sting: voce, basso, chitarra, pianoforte, percussioni
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