Nadir “è il frutto di studio e ricerca di un linguaggio nell’universo della musica improvvisata, che parte dal jazz ed arriva alla musica colta e popolare toccando la composizione che, quindi, si fa estemporanea e si concretizza nella ricerca della forma”. Trascritte nel libretto interno, queste parole spiegano la ratio musicale del progetto, una sorta di prodotto multicolore, perfettamente in bilico tra tradizione e musica contemporanea, proposto da una formazione che, coraggiosamente, vede impegnati solo due strumenti: il pianoforte di De Angelis (che occasionalmente suona anche il piano Rhodes) e la tromba di Olivieri. In realtà, la libera improvvisazione di cui si fa cenno poco sopra - e che caratterizza altri lavori del trombettista - è presente solo in due brani, Raimundo e Boppin’, ed è assente nel resto dell’opera, lasciando piuttosto spazio a sonorità di stampo squisitamente minimale, votate alla creazione di ambientazioni rarefatte e snebbiate, che divengono addirittura sussurrate quando De Angelis si dedica al piano Rhodes. Intimista, profonda, spirituale, l’opera è comunque alquanto screziata, attingendo da 4 diversi repertori: a fronte dei 7 brani originali (di questi, preme segnalare almeno The Stars And The Pilgrims, omaggio di Olivieri ad Enrico Rava, uno dei suoi punti di riferimento), altrettanti sono attinti dalla storia del jazz (Goodbye pork pie hat di Mingus e Turn out the stars di Evans), dalla musica classica contemporanea (Pictures of childhood e Round dance, rispettivamente di Aram Khachaturian e Béla Bartók) nonché, inaspettatamente, dalla tradizione popolare europea (Maremma e Raimundo, canto popolare toscano il primo, angolano il secondo). (Recensione apparsa sul n. 37, anno 2008, di “Musikbox - Rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo”, qui pubblicata per gentile concessione dell'autore).
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