Sono passati quasi 40 anni da Rush, primo lavoro del trio canadese. Un inizio all’insegna dell’hard rock, poi due capolavori come 2112 e Hemispheres, con quelle influenze progressive. Poi gli anni 80, con Permanent Waves e Moving Pictures, con un sound che gettava un ponte tra il passato, il presente (di allora) ed il futuro che stava appena arrivando con la svolta tecnologica e se vogliamo anche più commerciale.
Poi gli anni 90, lavori meno interessanti, ma pur sempre non trascurabili, le tragedie familiari di Neil Peart ed il ritorno di dieci anni fa con Vapor Trails, un lavoro rabbioso, sicuramente il più duro della lunga storia dei Rush e 5 anni più tardi un altro grande ritorno con un lavoro curato e raffinato come Snakes And Arrows. In mezzo molti live ed oggi dopo un nuovo lungo silenzio durato ancora una volta ben 5 anni, i Rush tornano con Clockwork Angels, primo lavoro realizzato con la Roadrunner Records e primo vero concept album per la band. Il concept è di ambientazione steampunk, narra la storia di un ragazzo che intraprende un viaggio, fisico ma soprattutto interiore, tra luoghi esotici e città d'oro, entrando in contatto con strani personaggi, pirati, anarchici e soprattutto la figura di un orologiaio che gli ricorderà sempre che il suo tempo è limitato. Affascinante anche la copertina, il cielo rosso e davanti un orologio con simboli misteriosi; le lancette segnano le 21:12 (un accenno ai Maya?). Ma parliamo ora del contenuto musicale che ci riporta ai migliori Rush, quelli forse più hard rock e diretti. “Caravan” e “BU2B”, le conosciamo già da circa un paio d’anni, un ponte tra passato, presente e futuro della band, la prima e con sonorità anche acustiche e progressive, la seconda, anche se non mancano momenti più diretti ed hard rock e la title track, splendida nel suo incedere, momenti strumentali che ci riportano ai miglior Rush, la splendida voce di Geddy Lee, i riffs chitarristici di Alex Lifeson che alterna anche melodie ed armonie d’altri tempi, il perfetto e fantasioso drumming di Neal Peart ed il basso di Lee, pulsante e capace di dar colore ad ogni momento ritmico ed ancora frammenti melodici, cambi di tempo, refrain trascinanti, praticamente uno degli episodi migliori di questo grande disco. Ancora grande musica con “The Anarchist”, più semplice, ma ugualmente di grand’effetto grazie anche ad alcune orchestrazioni dal sound mediorientale; con “Carnies”, dove la chitarra di Lifeson ruggisce con grinta ed i momenti armonici della voce di Lee, stempera il tutto con stacchi più melodici e con “Halo Effect”, dove fuoriescono i Rush più melodici ed ispirati, una bellissima ballata elettrica, arricchita anche di momenti acustici e fantasiose orchestrazioni e dove la voce di Geddy Lee ci fa toccare il settimo cielo. Solo basso e batteria aprono la successiva “Seven Cities Of Gold”, arriva poi la chitarra di Lifeson, a tratti rumoristica, ma che riesce poi a creare un riff dal sapore molto seventies e si prosegue verso sentieri più romantici, semplici e melodici con “The Wreckers”, con la voce di Lee sempre in ottima forma ed orchestrazioni sinfoniche di grand’effetto. Come rimanere indifferenti di fronte a brani come “Headlong Flight”, rocciosa hard rock song, con un riff chitarristico che porta la firma Rush al 100% ed un egregio lavoro di basso e logicamente il drum work è fantasioso ed inimitabile. I Rush non perdonano quindi e ci regalano un trittico finale da urlo con la brevissima “BU2B2”, la più lineare “Wish Them Wall” e la splendida “The Garden”, con nuovi arrangiamenti orchestrali, momenti acustici, melodie raffinate, progressive, per quasi sette minuti fatati ed irripetibili. Uno splendido lavoro che porta un marchio inimitabile ed indelebile come quello dei Rush!! 90/100
|
Geddy Lee: Basso, Voce e tastiere. Anno: 2012 |