I Soft Machine Legacy, nonostante i numerosi cambiamenti di formazione, hanno avuto il merito nel corso degli ultimi anni di saper difendere strenuamente i legami con lo storico zoccolo duro dal quale sono originati.
Questo nonostante la considerevolezza dei mutamenti intervenuti, costituiti dalla uscita di Allan Holdsworth sostituito dall'ottimo John Etheridge alla chitarra e dalla irreparabile perdita occorsa solo pochi mesi addietro del grande sassofonista Elton Dean. Fondamentale è stata senza dubbio la solidità rappresentata dall'indiavolato asse formato dal leggendario bassista Hugh Hopper e dal batterista John Marshall cui si è assommata l'integrazione, dopo il triste decesso nel 2006 del già menzionato Elton Dean, del bravissimo fiatista Theo Travis già impegnato nel progetto Cipher accanto al bassista Dave Sturt e con i Double Talk. L'aspetto sorprendente di questo nuovo album Steam è costituito dalla incredibile capacità dei Soft Machine Legacy di resistere alle traversie per risorgere, novelli Proteo, con uno slancio rinnovato e superiore al precedente. Per avvedersene basterà prestare orecchio a questo lavoro in grado di porsi quale nuova tappa fondamentale del loro inesausto cammino artistico. Senza alcun dubbio la presenza del polistrumentista Theo Travis si staglia vistosamente, soprattutto nella capacità di amalgamarsi sapientemente con la chitarra del funambolico John Etheridge. Una delle peculiarità cardinali di Steam risiede nel singolare approccio fornito alla collaudata formula del quartetto che appare spigoloso e contrastante nello stesso momento. Ci troviamo in presenza di jazz-fusion priva di orpelli, nella quale spazio e profondità vengono impiegati quali strumenti destinati a rendere efficaci le innumerevoli scorribande sonore e le ricostruzioni tematiche. Inoltre la band riesce sempre a preservare, anche nelle digressioni-improvvisazioni, la naturale inclinazione e vocazione Canterburyana con melodie suggestive richiamanti quella storica pagina della loro esistenza. I musicisti abbracciano una filosofia musicale che li porta a combinare sapientemente ingannevoli mutamenti di tempo con riff mozzafiato. All'interno di The Big Man le poliritmie di John Marshall determinate dai patterns dei tom-tom Africani creano il contenitore nel cui corpo prendono forma fasi soliste e stralci di psichedelie ombrate di jazz-rock. Nell'occasione John Etheridge e Theo Travis mostrano in tutto il disco una marcia in più, consociando sonorità aperte con prolungate, ma mai egoistiche, sezioni soliste dalle quali balena l'immagine corretta di un gruppo nel quale la composizione è affidata a più menti. Infatti la combinazione di beat incalzanti e di articolate fasi jazzate spesso all'unisono, permettono ai quattro musicisti di coprire uno spettro molto ampio di gamme sonore. A ciò occorre aggiungere l'ottimo lavoro svolto da Travis nei fraseggi di flauto che non mancano di richiamare alla mente dell'ascoltatore alcune delle suggestioni care ai primi Jethro Tull di Ian Anderson o a Peter Gabriel nei Genesis come appare dalle virate jazz di Firefly. Più avanti Theo Travis sfodera reiterati impieghi del suo sax soprano risultando supporto ottimale per le eccellenti linee di basso di Hugh Hopper, mentre John Marshall regge abilmente il timone del ritmo nel corso dei suoi diluiti impegni solisti. Per Dave Acto invece, John Etheridge sceglie il ricorso a serrati armonici e luminosi e rapidi lick della sua chitarra. La locomotiva dei Soft Machine Legacy sembra lanciata a grandissima velocità e con nessuna intenzione di effettuare fermate. 90/100
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John Etheridge: Chitarra Anno: 2007 |