Nel leggere il comunicato stampa che accompagna l'uscita discografica, prendiamo rispettosamente le distanze: "L'album, ispirato all'estetica fantascientifica e psichedelica degli anni '70, approfondisce temi esistenziali come il tempo, l'alienazione, la ricerca di significato e il rapporto dell'umanità con la natura. Questo concept album offre un'esperienza di ascolto unica di 55 minuti senza interruzioni. Passa senza soluzione di continuità da ballate serene a ritmi funk pulsanti, attraversando canyon desolati, ritornelli pop spudorati, melodie blues strazianti, caos jazz introspettivo e suoni evocativi degli spaghetti western". In realtà, questo lavoro prende spunto dall'archetipo destrutturato del prog più antico, per adattarlo pregevolmente ad un hard rock massiccio, a tratti granitico, peraltro connotato da un incedere in perenne cambiamento. "Between The Moments", ad esempio, presenta echi floydiani di derivazione gilmouriana che si innestano alla perfezione su un substrato hard rock tagliente ed incisivo, mentre "Monument of Old" esordisce come un blues morbido e suadente, per poi evolvere in una jam dai toni quasi virulenti, alveo sonoro che connota anche “Forgotten Paths”, non meno efficace. Non prog rock in senso stretto, quindi (compagine sonora richiamata sia dalla onirica copertina, sia da altri colleghi recensori, segnatamente stranieri), ma prog rock nello spirito giacchè "Sykophant" rimane un disco di puro hard rock approcciato con l'anima cangiante che animava i leoni progressivi di un tempo, prevalentemente di stampo anglosassone. Il tutto, peraltro, è sublimato da un groove che evoca lo spirito di lunghe, interminabili jam di stampo ipnotico e magnetico. Nessuna similitudine, dunque, con i recenti gruppi scandinavi di prog da noi tanto apprezzati (Wobbler, Jordsjø, The Chronicles Of Father Robin, a loro volta ispiratisi ai guru Anekdoten, Änglagård, Landberk), così come sono assenti i "suoni evocativi degli spaghetti western", come inspiegabilmente ostentato nel citato comunicato stampa (e chi più di un italiano può sottolineare questo aspetto), ma ciò non impedisce a chi scrive di segnalare questo lavoro in termini di pregevolissima opera, coraggiosa ed inusuale, ricchissima di aspetti originali che mai un volta fanno pensare a qualcosa di già sentito. |
Emil Moen: vocals, guitars |