Album d'esordio di Dario Vero, chitarrista interessante tanto nell'esecuzione quanto nella composizione, è un concept strumentale che lo stesso autore indirizza verso il settore "psichedelico (.) consigliato a tutti gli amanti del rock progressivo e della psichedelia (Frank Zappa, Pink Floyd)".
Io dissento garbatamente riscontrando marginali ascendenze esercitate dal gruppo inglese, rilevando invece la totale assenza di psichedelia e progressive. Sembra un inizio disastroso, per una recensione, ma non è così. Inizio subito dicendo che è una vera bestemmia non vedere recensito altrove questo lavoro. Da amante di Steve Vai quale sono (ed è incredibile che il chitarrista non venga minimamente menzionato nella descrizione dell'album, nel sito ufficiale dell'artista), ho apprezzato immediatamente questo lavoro, capace di omaggiare l'italo-americano (molto più di quanto venga fatto a favore di Zappa, pure tributato), in maniera oltremodo sensata e credibile, cosa non facile, conoscendo il tipo, i suoi astrusi virtuosisimi, la sua inusuale attitudine alle sonorità "diverse" e "diversificate", la sua maniacale propensione alla destrutturazione dei cliché pop, prog e hard rock. Il periodo esaltato è il primo, anzi, il primissimo: l'ascoltatore percepisce chiaramente che chi suona è stato ascoltatore anch'egli, segnatamente di lavori come "Flex-Able" e "Leftovers" (più marginalmente della restante discografia di Vai, sia solista sia con Zappa), qui omaggiati a livello di suono, incredibilmente analogo in termini di direzione, di forma mentis, di modus operandi. Interessanti e personali le numerose sperimentazioni arrangiative tentate (e riuscite) in brani come "In the Forest", "Learning To Sleep", "Roy's Childhood", "Deep Blue" e "Welcome To My World", mentre appaiono altrettanto riuscite le puntate in campo hard: brani come "This is My Universe", "Alpha Centauri", "The Escape The The Eventide" dimostrano certamente una elevata capacità di proporre dinamismi ruggenti di pregevolissima fattura. Non sono (fortunatamente) presenti le puntate avanguardistiche che nel primo album di Vai erano oltremodo ricorrenti, mentre manca (purtroppo) una ballata superlativa come "Call It Sleep" (nettamente superiore alla pluri-abusata "For The Love Of God"), ma verrà nel prossimo album, questo è poco ma sicuro, considerato l'incredibile talento espresso in questa opera prima davvero sbalorditiva. In generale, e concludendo in considerazioni di sintesi, l'album è di pregevolissima fattura, sposando l'artista una tecnica esecutiva che risulta certamente virtuosa ma mai gratuitamente auto-celebrativa ed evidenziando egli doti compositive ricche di attitudini e sensibilità mai banali, né tantomeno omologate, sempre sensate e accattivanti. Non c'è dubbio: Gianluca Mosole sta a Pat Metheny come Dario Vero sta a Steve Vai. Sarebbe il nostro disco del mese, "Lucid Dream", se non ci fosse pervenuto fuori tempo massimo. Post Scriptum: poiché l'art-work non rende onore alle musiche del cd - apparendo più vicino alla compagine cantautorale piuttosto che a quella inusuale del virtuosisimo chitarristico con connotazioni perfettamente in bilico tra sperimentazioni e sonorità hard - il potenziale fruitore è caldamente pregato di ignorare le (brutte) sensazioni che la (inadeguata) copertina evocherà certamente in lui, acquistando questo titolo (reperibile qui) fidandosi ciecamente della presente recensione. |
Dario Vero: chitarre Anno: 2016 |