Pur essendo il primo album live dei Beatles, "Live at the Hollywood Bowl" gode oggi di scarsa popolarità tra i fans del gruppo, più propensi a valorizzare la discografia in studio, certamente ritenuta più ricca di stimoli interpretativi ed esecutivi. Come dare loro torto? E' vero che il disco documentava il meglio dei tre concerti tenuti dal quartetto all'Hollywood Bowl di Los Angeles il 23 agosto del 1964, il 29 e il 30 agosto 1965, come è vero che tutti erano caratterizzati da un audio improponibile a causa di una folla isterica e incontrollata. George Martin (al quale, noi di A&B abbiamo dedicato questa monografia) e l'ingegnere del suono Geoff Emerick cercarono di gestire al meglio i nastri di quelle esibizioni fin dagli anni sessanta, ma il primo dovette arrendersi di fronte a due problemi: impossibile, a suo dire, contenere non soltanto il fragore dei circa 18.000 presenti, ma anche assemblare gli strumenti, tutti registrati su canali audio differenti. Nel 1971 ci provò Phil Spector il quale, analogamente, emise la medesima sentenza del blasonato collega. Tuttavia, sei anni dopo, proprio quest'ultimo rimise mano alle esibizioni, spinto dalla Capitol (label che pubblicava i dischi dei Beatles in America), il cui presidente Bhaskar Menon si era mostrato ben deciso a pubblicare finalmente l'ambito primigenio disco dal vivo dei Fab Four. Il fonico inglese riuscì ad estrapolare quattro pezzi dalla data del 30 agosto '65 ("Twist and Shout", "She's a Woman", "Can't Buy Me Love", "A Hard Day's Night"), due dal concerto del giorno prima ("Ticket to Ride", "Help!") e ben sei dallo show del 23 agosto dell'anno precedente ("Things We Said Today", "Roll Over Beethoven", "Boys", "All My Loving", "She Loves You", "Long Tall Sally"), un numero assai rilevante di brani, se si pensa che quest'ultima data fu funestata da problemi tecnici che penalizzarono McCartney, il cui microfono andava e veniva a causa di un contatto ballerino. Il brano "Dizzy Miss Lizzy", infine, fu il solo "elaborato" in studio, partorito dalla fusione delle versioni suonate nel corso dei due concerti del 1965. La pubblicazione del disco, come detto, fu fortemente voluta da Menon non soltanto per soddisfare la domanda esasperante da parte di fan e critici, ma anche per arginare i possibili danni determinati dalla pubblicazione di "Live! at the Star-Club in Hamburg, Germany; 1962". Stampato da una label indipendente su canali squisitamente pirateschi, questo doppio 33 giri conteneva uno dei tanti concerti che i Beatles tennero allo Star-Club prima del grande successo mondiale (l'ostinazione dell'americano non portò risultati pienamente soddisfacenti giacché, se il disco ufficiale fu certificato due volte disco d'oro e altrettante di platino e il bootleg non superò la centesima posizione nella classifica inglese, quest'ultimo si piazzò in molti paesi europei nei primi 10 posti delle rispettive classifiche e, addirittura, riuscì a scalare la Billboard 200 fino alla seconda posizione). Oggi, nel 2016, con il titolo "The Beatles: Live At The Hollywood Bowl", il live viene ristampato dalla Apple Corps Ltd. e dalla Universal Music Group, i due colossi dell'industria discografica che curano le edizioni delle musiche firmate ed eseguite dai quattro di Liverpool. Avrebbe tutta l'aria di essere etichettata un'operazione inutile e pretestuosa, questa uscita discografica, come spesso accade per molte opere postume, ma così non è: ed effettivamente, quando si parla di Beatles, nulla è mai superfluo. Oltre a fungere da ideale colonna sonora del film "The Beatles: Eight Days A Week - The Touring Years" (che propone la prima parte della carriera dei Beatles, dal Cavern Club di Liverpool, fino all’ultimo concerto del gruppo, al Candlestick Park di San Francisco), oltre a pubblicare le tracce dopo averle filtrate con nuovissime tecnologie (lo hanno fatto i tecnici del suono Sam Okell e Giles Martin, quest'ultimo figlio di George Martin e suo erede anche professionalmente), oltre a contenere un booklet di 24 pagine con scritti a firma del giornalista musicale David Fricke, la nuova edizione propone quattro inediti la cui presenza estende la scaletta complessiva a ben 17 brani. “Qualche anno fa", ha dichiarato sul punto il citato Giles, "mi hanno chiamato dai Capitol Studios dicendo che avevano scoperto negli archivi tre tracce dei concerti all’Hollywood Bowl. Abbiamo scoperto che erano migliori rispetto ai nastri conservati a Londra. In quei giorni stavo lavorando con un team guidato dall’ingegnere James Clarke sulla tecnologia Demix, che permette di separare i suoni da una traccia singola. Con Sam Okell ho cominciato a lavorare per remixare i nastri dell’Hollywood Bowl. La tecnologia è andata molto avanti da quando mio padre lavorò su quel materiale molti anni fa. Ora c’è una maggior chiarezza, così che l’immediatezza e l’emozione possano essere percepite come mai prima d’ora. Le parole di mio padre rimangono veritiere", riferisce Martin riguardo al caos che penalizzava le incisioni, "ma quello che sentiamo oggi è l'energia grezza di quattro ragazzi che suonano insieme ad una folla che li amava: grazie a questo disco vi sembrerà di essere all’Hollywood Bowl al culmine della Beatlemania. Speriamo che lo show vi piaccia!”. Orbene, venendo al dunque, le parole del novello tecnico del suono appaiono veritiere. Il miracolo si percepisce davvero, giacchè le urla appaiono finalmente in secondo piano. A livello squisitamente esecutivo, la prestazione è incredibile se si pensa che, all'epoca, i Beatles non sentivano nulla di ciò che stavano suonando. Pur essendo una incisione di metà anni '60 (per cui - e il lettore dovrebbe averlo già intuito - non sembra affatto "di essere all’Hollywood Bowl al culmine della Beatlemania"), le urla, appaiono sapientemente contenute e giustamente relegate in secondo piano rispetto alla musica, apparendo oggi non più invadenti, come nella originaria pubblicazione, ma appena fastidiose. Quanto ai pezzi inediti, quattro sembrano un po' pochini: se è vero che la tecnologia Demix permette, come si asserisce, di separare i suoni contenuti in una singola traccia, perché non intervenire su tutti i pezzi delle tre date (scartando, eventualmente, soltanto le esecuzioni penalizzate dal microfono di McCartney)? Ad ogni modo, i brani sono "You Can’t Do That", "I Want To Hold Your Hand", "Everybody’s Trying To Be My Baby" e "Baby’s In Black", i primi due estratti dallo show del 1964, gli altri dall'ultimo del 1965, tutti composti da Lennon e McCartney tranne il terzo, firmato da Carl Perkins. E giacché la presente non è soltanto una recensione ma anche breve esegesi dello storico disco e della sua versione odierna, sembra doveroso dedicare maggiore attenzione a questi brani, in forza del carattere di novità che indubbiamente essi incarnano oggi: "You Can't Do That", in realtà composto prevalentemente da Lennon (ma, come al solito, accreditato anche a McCartney), fu pubblicato inizialmente come b-side del singolo "Can't Buy Me Love" e successivamente incluso nell'album "A Hard Day's Night" (in Europa) e "Second Album" (in America); "I Want to Hold Your Hand" venne inciso dai Fab Four per un singolo del 1963 (la b-side era "This Boy") e mai incluso in alcun album della band (sebbene, successivamente sia stato inserito in diverse antologie e, nella sola America, nell'album ufficiale "Meet The Beatles", più o meno corrispondente alla versione europea di "With The Beatles"); il pezzo di Carl Perkins, "Everybody's Trying to Be My Baby", fu coverizzato dai Beatles nel 1964, inserito nell'album "For Sale" (in Europa) e "IV" (negli States); "Baby’s In Black", infine, apparve anch'esso in "For Sale" (mentre in America fu inserito in "Beatles '65"). Le versioni live qui proposte non aggiungono nulla di nuovo a quanto già conosciuto, fatta eccezione, forse, per gli ultimi due brani: estratti da "For Sale" - l'album notoriamente più spento dell'intera discografia, ove i Nostri apparivano apparentemente demotivati (alcuni giunsero a questa conclusione partendo dalla copertina, che vedeva i quattro non sorridenti, caso più unico che raro agli inizi di carriera, tutti con espressioni meste, forse condizionate dal malinconico paesaggio autunnale che si intravede sullo sfondo) - i due brani in argomento, nella loro esecuzione concertistica, appaiono certamente rivitalizzati, eseguiti in termini gioviali e galvanizzanti. L'opera verrà pubblicato in due versioni: il CD uscirà il prossimo 9 settembre, mentre il 18 dello stesso mese sarà la volta della stampa in vinile, in preziosa confezione gatefold, peraltro nient'affatto penalizzata, qualitativamente parlando, dall'aggiunta dei quattro brani in questione, atteso che il disco originario durava appena sopra i 33 minuti e oggi supera di poco i 40. |
John Lennon: voce, chitarra Anno: 2016 |