La bellezza del mare calmo che circonda Venezia, in una giornata di sole autunnale, è soltanto il preludio ad un caos naturale. Uno stormo di cormorani, neri come l’inchiostro, si alza in volo. In un apparente disordine, gli uccelli si alternano in spettacolari tuffi nell’acqua per pescare, incuranti degli sguardi umani urlano e vivono, davanti ai nostri sogni di libertà. Questa è parte di un’immagine descritta nel brano “Slint”, ma è anche, a mio parere, il perfetto fotogramma che rappresenta visivamente la musica e lo stato d’animo contenuti all’interno dell’ultimo disco omonimo de “Il Teatro Degli Orrori”. Album che parte fortissimo, come un’auto da corsa, sfreccia a tutta velocità rilasciando cospicue dosi di adrenalina. I primi tre giri sono da record, la macchina è inarrestabile. “Disinteressati e Indifferenti” è il brano che apre il sipario del “teatro”, rock veloce e travolgente spezzato da intermezzi blues e melodici, uno schiaffo al menefreghismo sociale impigliato nella ragnatela della droga. “La Paura” è una madre incinta che partorisce violenza, sollecitata assiduamente da un ritmo asfissiante ed indomabile che viene cavalcato, con destrezza, dal duo Favero (basso) e Valente (batteria) in forma smagliante. “Lavorare Stanca” è un freccia che arriva dritta al cuore, un monologo di rabbia che frana velocemente su ciò che rappresenta il lavoro ai giorni nostri, sulle fatiche di ogni lavoratore stremato, sconfitto da un paese arenato che “non cambia perché non vuole cambiare”. Nota di considerazione va al videoclip (regia e montaggio di Mauro Lovisetto) che possiede un forte impatto ipnotico, emotivo e coinvolgente. Il quartetto veneto si è arricchito di due nuove presenze: Kole Laca al synth, e Marcello Batelli alla chitarra che, insieme all’ottimo Minai (chitarrista e cofondatore del gruppo), forma un duo ben affiatato. A giovare di questo è proprio il sound che risulta potente e corposo, dannatamente energico. Pierpaolo Capovilla è il solito maestro di interpretazione, recita impeccabilmente ogni brano con intrepida intensità, attraversando continuamente il confine tra ironia e poesia urlando soprusi, violenze ed ingiustizie senza alcun timore. L’album percorre numerose strade: quelle in subbuglio di Genova durante i disordini del G8 del 2001; quelle strette, buie, senza via d’uscita dell’abuso di psicofarmaci; e quelle polverose battute dai passi stremati dei profughi. Fra queste persone lo sguardo di una giovane donna pietrifica le nostre coscienze, una ragazza col fucile a tracolla che, a differenza delle coetanee occidentali, deve defilarsi dai nemici anziché infilarsi tacchi a spillo e calcare passerelle di banalità. E poi le delusioni della politica italiana che mutano un sogno in un profondo sonno. Lo stesso sonno imposto ad un uomo normale rinchiuso in una stanza, intento ad osservare quei cormorani volteggiare come gli infiniti punti interrogativi che ruotano attorno al significato oscuro del trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Le sonorità rimangono viscerali e granitiche, il rumore la fa da padrone, il rock fa sesso col noise in una camera d’albergo avvolta dalle tenebre che si diradano lentamente al mattino di “Una giornata al sole”. Artisticamente mi piace paragonare il disco ad un’opera di Pollock, impulsivo ed istintivo, dai colori vivaci apparentemente disordinati ma spontanei. Un quadro contagioso in cui si sovrappongono numerosi stati d’animo, rabbia in primis. “Il teatro degli orrori” è da ascoltare e possibilmente da vivere live in questo 2016 che, parafrasando il titolo della nona traccia, sarà un anno da prendere a “Cazzotti e suppliche”! |
Francesco Valente: batteria e percussioni Anno: 2015 Tracklist: |