Ve lo ricordate Naked City, splendido album firmato John Zorn risalente al 1990? Si trattava di un opera in cui, senza alcun apparente senso logico, venivano miscelati differenti discorsi musicali: (vari tipi di) jazz, sperimentazione, ambient, addirittura hard-core e grind-core (per i profani, sono forme estreme di metal). Un episodio non facile da digerire – suonato, tra gli altri, da personaggi del calibro di Bill Frisell e Joey Baron – ma che certamente rappresentava un perfetto connubio di generi musicali assai distanti tra loro. Bene, se vi è piaciuta quell’opera, non potete non appezzare Erzefilisch (che a Nekd City si ispira palesemente), eccezionale esordio discografico in cui sono rinvenibili, oltre alle influenze musicali sopra citate, una certa fusion d’assalto, tracce Crimsoniane di metà anni ’70 e il Frank Zappa più ingegnoso e sperimentale. I Thrangh prospettano scenari improbabili e non comuni, distinti in 12 brani strumentali, tutti collegati tra loro, suonati alternando a quelli tipici della formazione jazz (chitarra, basso, batteria e sax), strumenti inusuali come il javanese gong, la baritone guitar, il guitar synth, il didjeridù, il coulisse flute. Questo lavoro – eseguito, peraltro, con tecnica e stili ineccepibili – possiede il potenziale di affascinare tanto un pubblico squisitamente jazz, quanto più marcatamente rock, purché di mentalità assai aperta (vale per gli esponenti di entrambe i generi), amante di inedite commistioni e complesse sperimentazioni (Recensione apparsa sul n. 34, anno 2008, di “Musikbox - Rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo”, qui pubblicata per gentile concessione dell'autore).
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