Difficile dare un seguito ad un gioiellino come "World Painted Blood", album che, oltre alla nomina al Grammy, vantava anche e soprattutto la presenza della rediviva formazione originale. "Repentless" undicesimo album in studio degli SLAYER, la cui uscita è prevista l’11 Settembre 2015, è stato anticipato dal brano "Implode", reso disponibile in download gratuito fin dal mese di aprile (ma la versione presente sul disco è stata re-incisa ex-novo), ed è stato lanciato dal singolo omonimo, peraltro divulgato anche sottoforma di video musicale nel quale alcuni attori "minori" (il più noto dei quali è certamente Danny Trejo comparso in "Dal tramonto all’alba" e protagonista di "Machete") si accompagnano a veri carcerati che interpretano loro stessi, inscenando una violenta rivolta (otto, le ore complessive delle riprese, dirette dal regista BJ McDonnell, noto per film quali “Hatchet III”, “Avengers: Age of Ultron", “Ant-Man” e "The Interview"). E' un album che farà notizia, questo è poco ma sicuro. Innanzitutto rappresenta l'ennesima conferma che le certezze non sono mai tali: Araya, infatti, aveva dichiarato che nessun lavoro sarebbe stato licenziato senza Hanneman (anche se, ad onor del vero, all'epoca nessuno poteva prevederne la scomparsa). E' anche una genuina testimonianza di incertezze profonde: alla morte del collega chitarrista, King aveva annunciato il suo desiderio di continuare ma il cantante aveva manifestato perplessità ("Dopo 30 anni, sarebbe letteralmente come ricominciare da capo", aveva dichiarato, con tono incerto), esprimendo dubbi sul fatto che i fans avessero accettato l'assenza di uno dei fondatori e compositori storici. Non è finita: è l'album che testimonia l'ennesimo, doloroso abbandono di Lombardo, sostituito da Paul Bostaph, vecchia conoscenza che aveva militato nella band dal 1992 al 2002, con una breve pausa nel 1996 (per la cronaca, il primo sostituto del batterista originario era stato John Dette che però, per la seconda volta - la prima fu nel 1996 - si è visto soffiare il posto dal citato Bostaph, con il risultato che egli vanta il record di due ingressi lampo a distanza di 20 anni l'uno dall'altro). Questa nuova fatica discografica è stata largamente osannata da riviste quali Guitar World (che lo ha già eletto album dell'anno, con avventata ingenuità se si pensa che l'anno è ben lontano dalla sua conclusione), Metal Hammer (che pomposamente ha parlato di "album che rappresenta gli Slayer al loro meglio, probabilmente il migliore in assoluto. E se così non fosse, è sicuramente uno tra i migliori”) e Houston Press (che, un tantino più moderatamente, ha decretato: "thrash ridefinito, aggiornato e rinato … un ritorno all’essenza”). Chi scrive è votato ad una più garbata cautela. Rispetto al suo precedessore, non c'è alcun abisso artistico, per intenderci, giacché nessuno dei due album esprime effettivamente qualcosa di nuovo. Tuttavia, parlando di questa ultima uscita, va espressa un riserva pesantissima: "World Painted Blood" suonava Slayer in maniera entusiasmante, "Repentless" suona Slayer in maniera prevedibile. "Repentless", "When The Stillness Comes" e "Implode", non sono così efficaci come il loro prematuro inserimento nella scaletta del concerto tenuto il 3 luglio al Pavilion di Phoenix, in Arizona, voleva farci intendere. Il primo è il più brutale del trittico, ma saccheggia pesantemente quanto espresso in "Silent Scream" o "War Ensemble"; gli altri sono inefficaci nella loro scarsa, per non dire inesistente, propensione all'innovazione. Territori ampiamente percorsi anche per "Take Control" e "Atrocity Vendor", pezzi molto buoni per album di transizione come Diabolus in Musica e God Hates Us All, non certo per una prova discografica che doveva fornire delle conferme, soprattutto dopo un rimaneggiamento interessante 2/4 della formazione. In "Vices" King arriva a plagiare pesantemente sé stesso, mentre in "Pride in Prejudice" il suo marchio di fabbrica appare alterato, quasi snaturato (una via di mezzo no, eh?). Si può senz'altro affermare che "Repentless" sta agli Slayer come "Rock or Bust" sta agli AC/DC: sono entrambi prodotti da marchi consolidati ma navigano, anzi galleggiano, su toni di rassicurante ordinarietà, scevri da qualsivoglia innovazione, carichi di prevedibile consuetudine. Dopo l'ascolto, inoltre l'amaro in bocca resta due volte: da un lato, pesa la mancanza dell'inarrivabile Lombardo che, ormai si può affermarlo con certezza, è oltremodo insostituibile; dall'altro, appare criticabile e incomprensibile la scelta di relegare Holt a mero esecutore, castrandolo del ruolo non soltanto di autore, ma addirittura di co-autore. E' l'ultima scelta, probabilmente, il vero punto debole dell'album: in fase prodromica, King era ben deciso a pubblicare un album in studio con una formazione a tre, con le parti di chitarra a lui esclusivamente riservate. Il fatto che non ci sia riuscito sul piano esecutivo - giacchè Holt è ormai un membro effettivo - rappresenta una magra consolazione. Quello che negli Slayer funzionava era proprio il dualismo compositivo e chitarristico Hanneman/King. Scomparso il primo elemento, al felice contrappeso che Holt poteva rappresentare, si è scelto un regime di monopolio, la via del binario singolo invece che di quello doppio, che non convince pienamente. E non soccorre neanche il fatto che Hanneman sia virtualmente presente in qualità di compositore di "Piano Wire", poiché si percepisce chiaramente che il citato brano è stato inserito in scaletta più per le sue blasonate origini (si tratta, probabilmente, dell'ultimo parto artistico dello scomparso chitarrista), piuttosto che per il suo valore intrinseco, invero lontano, lontanissimo, dal capolavoro: per parlare di lascito artistico di stampo leggendario, infatti, dobbiamo purtroppo andare a guardare molto più indietro nel tempo. 78/100
|
Tom Araya: voce, basso Anno: 2015 |