Pur muovendosi in territori quasi esclusivamente acustici, questo esordio discografico suonato e prodotto dal chitarrista newyorkese Sasha Marcovic, leader del progetto Yagull, percorre uno spettro musicale assai esteso, talché abbraccia il folk più intimista e malinconico (“Dark”, “Los Pajaros”, “April”, “Yagull”), sfiora la profondità espressiva del suono West Coast (Sound of M), sosta brevemente presso la compagine elegante del soft-jazz (“East”), cattura la magia della cultura celtica (“Pulse”, “Mosquita”) o il magnetismo dell’ipnosi floydiana (“River”), non mancando, in almeno due occasioni, di dedicarsi allo scherzo, ancorché disinvolto ed elegante (“T Feel”, “Summerdreamer”). Discorso a parte meritano almeno tre brani. “Distance”, l’ultimo in scaletta, risulta corroborato da un’intelaiatura ritmica che, unita a tematiche immaginifiche, sebbene lontane dalla sontuosità e dalla magniloquenza, catapultano il pezzo in territori (inaspettatamente) progressivi. Gli altri due episodi in argomento si palesano quale genuina dimostrazione dell’attitudine tenue e rarefatta che contraddistingue questo inconsueto one man project. L’intimismo soave che permea il substrato artistico di Markovic, infatti, assume più elevato significato nella rivisitazione di due classici dell’hard rock angolossasone: “White Room” dei Cream e “Sabbath Bloody Sabbath” dei Black Sabbath. Dematerializzati e ricomposti, entrambi i brani si foderano di nuova veste grafica che, pur risultando temeraria, appare assolutamente credibile tanto quanto il restyling attuato nell’album “Strange Little Girls” del 2001 (all’epoca, lo si ricorda ai più smemorati, Tori Amos ebbe l’audacia di riproporre 12 cover in chiave minimale per soli piano e voce, tra cui preme citare “'97 Bonnie & Clyde” di Eminem, “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode e, incredibilmente, “Raining Blood” degli Slayer). 80/100
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Sasha Markovic: Chitarra acustica ed elettrica Lori Reddy: Flauto Sonia Choi: Violoncello Eylon Tushiner: Sax Josh Margolis: Batteria Anno: 2012 |