Introduzione (Maggio 2017) La ristampa di questo album, recentemente effettuata dai tipi della Black Widow, ci consente di parlare nuovamente di un titolo che avevamo già recensito in termini egregi nel maggio del 2015, anno in cui fu pubblicato per la prima volta. Questa nuova edizione - dovuta anche al veloce esaurimento della prima - si segnala sia per la presenza di una gustosa ed altrove inedita bonus track - una live versione di "Goblin", registrata ad Austin nell'aprile del 2014 - sia per il rinnovato art-work che, oltre alla nuova accattivante custodia in cartoncino, comprende 4 carte da poker graficamernte vicine allo stile di quelle presenti in copertina. Un vero "must" per chi ama definirsi un collezionista accanito della band. Quanto ai contenuti dell'album, è di seguito richiamata la recensione di due anni fa, sempre a firma di chi scrive, i cui contenuti sono qui da intendersi integralmente ripresi. Recensione (Aprile 2015) Ricostituita la formazione un tempo chiamata Back To The Goblin, presa ormai consapevolezza dell’incompatibilità esistente con Claudio Simonetti (qui un’intervista nella quale vengono svelati da Maurizio Guarini i motivi del deteriorato rapporto), la nuova incarnazione dei Goblin 4 (così chiamata previo accordo con il defezionario tastierista, a sua volta autorizzato a fregiarsi della sigla Goblin Re-loaded, poi mutata in Claudio Simonetti's Goblin), partorisce finalmente l’agognato album di inediti in studio, in passato largamente annunciato tanto dai New Goblin, quanto dai Goblin Rebirth (già Goblin World) con esiti puntualmente vanificati (quella dei secondi, comunque, dovrebbe apparire a breve). La recensione è appena iniziata e già non ci si capisce nulla, vero? Tante sigle, purtroppo, quelle del folletto, espressione di svariati scioglimenti e altrettante incarnazioni, corollario di litigi e promesse mancate che, più che affliggere i musicisti, hanno spesso amareggiato i numerosi fan sparsi per il mondo. Poiché si rischierebbe di sviarlo dallo scopo principale del presente scritto - cioè quello di commentare l’ultima uscita discografica - il lettore che volesse fare il punto sulle recenti evoluzioni della band (o involuzioni, a seconda dei punti di vista), è caldamente invitato a consultare il seguente live report, a firma dello scrivente, nonché “Sette Note In Rosso", certamente il blog/sito più genuino e completo sull’esteso multiverso gobliniano. Tornando al merito della recensione, va preliminarmente detto che questo nuovo lavoro si colloca su livelli estremamente alti, in termini qualitativi, svelando un sano desiderio di crescita interiore. Non è ardito affermare che il progressivo italiano, anche grazie ad un lavoro come questo, è tuttora vivo, forte di un ascendente esercitato non solo in Italia, ma anche all’estero. Tutto ciò, invero, nonostante il gruppo abbia fatto del suo meglio per svilire la propria proposta musicale scegliendo una copertina banale e mortificante, molto propensa a dequalificare la proposta musicale piuttosto che a sublimarla. Detto questo, la band percorre un range sonoro particolarmente esteso: che si tratti della ambigua nenia infantile di “Mousse Roll” o della tragicità angosciosa di “Bon Ton”, passando per l’epica magniloquenza di “Kingdom”, questo lavoro appare assai credibile, espressione di un’evoluzione artistica che tutti i fan auspicavano da tempo. Basti dire che con “Dark Blue(s)” il quartetto si fa beffe dell’ascoltatore per ben due volte: il blues sottinteso nel titolo è effettivamente esplorato dal gruppo (prima volta in assoluto per la band romana), ma arriva inaspettato, sinuoso, serpeggiando nella ritmica lenta e cadenzata che allude, evidentemente, all’andamento caracollante e minaccioso del brano “Zombie”. In seguito, così come è giunto, sparisce altrettanto ingannevolmente, spiazzando ancora, lasciando il posto ai tanto cari meandri horrorifici, qui valorizzati da contestualizzati innesti corali dalle tinte crepuscolari. “In The name of Goblin” eredita il non facile retaggio di “Goblin” (brano storico presente su Roller), non solo per la presenza dello storico moniker nel titolo, ma anche e soprattutto per la capacità della band di trasformare in aperture solari, espressioni inquiete e meste dal forte magnetismo interiore. “Love & Hate” presenta delle cupe attitudini iniziali che sembrano omaggiare la plumbea ascendenza del Balletto di Bronzo di YS, subito vanificate da sortite atmosferiche, talvolta angoscianti, altre malinconiche, sempre puntuali (e mai tradite) manifestazioni del tanto caro “Goblin touch”. “Uneven Times”, ennesimo episodio estremamente valido, può senza dubbio essere segnalato in termini di mini suite, strategicamente collocata in apertura dell’intero lavoro, che palesa – nel caso ce ne fosse ancora bisogno – l’efficace propensione del gruppo alla sonorizzazione di pellicole (cosa aspettano, i registi del genere, a commissionare alla band una colonna sonora, ce lo si chiede tuttora). In conclusione, va detto che, segnalandosi quale naturale seguito di Back To The Gobelin, questo album cancella d’un soffio le poco apprezzate incursioni hard che fecero dei New Goblin una parentesi non troppo stimata, dovuta al retaggio heavy dei (pur validi) membri dei Daemonia che vi militarono. Rispetto all’attuale formazione parallela (se così si possono chiamare i Claudio Simonetti’s Goblin), questo combo palesa la capacità di rinnovarsi con credibile attendibilità, fuggendo a gambe levate dal clichè stagnante della “cover” proposta più e più volte senza alcun desiderio di crescita interiore. |
first edition second edition Genere: Progressive, Rock
01. Uneven Times |