Nati nel 2005 nella periferia milanese, gli Agrado (nome ispirato ad un film di Predo Aldomovar, Tutto su mia madre - ndr.) sono un trio di rock alternativo che dopo aver passato la classica trafila fatta di tanti concerti in piccoli spazi, arrivano al loro debutto discografico con questo Rumore bianco, disponibile per la neo nata etichetta di Franz Di Cioccio della PFM - Fermenti Vivi.
Composto da 11 canzoni per 48 minuti totali, questo album si fa apprezzare sin da subito per una buona fruibilità dei brani - tutti cantati in italiano - e per un buon songwriting, semplice ma non scontato, nonostante qualche traccia sottotono. L'opener "Tra Sogni E Dovere" e simbolica in tal senso, con un refrain danzereccio ben orchestrato dall'espressiva voce di Ormar - che nel disco suona anche il basso - che si esaurisce con una bella coda di pianforte. Il terzetto lombardo si ispira sopratutto al rock inglese, con Radiohead, The Smiths e Police che sembrano essere le loro maggiori influenze, e forse non è un caso che il primo singolo estratto dalla raccolta sia "Piccola Luce", un riadattamento del celebre brano dei Tears For Fears - "Change", che nonostante il suo mutamento nella nostra lingua non perde un briciolo della sua intensità originale. "La Ragazza Blu" è un piacevole pop nostalgico con vari riferimenti armonici ai migliori Blur, "Numeri" è un frizzante rock strutturalmente convenzionale, ma che ha la sua carta vincente in un solidissimo ritornello. In "E Se Domani" emerge un pò il clichè di molte rock band mainstream dello stivale, e sembra stonare un pò in mezzo ad una raccolta del genere, ma è con la muscolosa "Non E' Facile" che gli Agrado ritornano a convincere in pieno; "Un Cielo Senza Nuvole" chiude il lavoro con un brano ancora una volta venato di nostalgia e arricchito ad una buona orchestrazione. Pur risultando un album decisamente derivativo e forse poco personale (un difetto sicuramente formale per un debutto), Rumore bianco resta un disco piacevole, molto melodico e solo in alcuni episodi scontato e legato a certe fastidiose mode tutte made in Italy, ma nel suo complesso mostra una scrittura scorrevole e calibrata, supportato anche da un'esecuzione più che sufficiente. Niente di miracoloso, ma se la media dei dischi del rock nostrano fosse questa, potremmo essere davvero contenti. 67/100
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Alessandro: Chitarra Anno: 2011 Sul web: |