Se il nome di Mark Tremonti non vi dice niente su due piedi (siamo sicuri che quello di Giulio invece, aimè in voi evochi ricordi poco piacevoli), vi basti sapere che questo musicista 38enne di Orlando ha venduto poco meno di 50 milioni di dischi grazie alla sua storica militanza nei Creed ed in tempi più recenti negli Alter Bridge. Insomma, non stiamo parlando in realtà del signor nessuno. Annunciato da ormai molto tempo, All I Was è il primo progetto solista di questo chitarrista di buon talento, che raggiunti i quasi 20 anni di carriera discografica si è voluto mettere alla prova con un'opera che desse sfogo alla sua creatività. Coadiuvato quindi dal polistrumentista Eric Friedman e dal roccioso batterista Garrett Withlock, Tremonti da prova di tutte le sue campacità compositive in 12 canzoni ben scritte, robuste e che non disdegnano un buon impatto melodico, palesando anche un'ottima interpretazione vocale inedita. Un lavoro con pochi fronzoli, siamo di fronte a 50 minuti di hard rock moderno inzuppato di post grunge che ha dire il vero non si discosta tanto nei dai Creed ne dagli Alter Bridge, ma la raccolta stessa non da mai l'impressione di voler puntare sull'effetto originalità: l'opener "Leave It Alone" mette in tavola tutte le carte stilistiche della proposta di questo project: riff granitici, sezione ritmica incalzante ma mai fuori dalle righe e ritornelli antemici ma mai scontati. Il guitar work di Tremonti è debitore al thrash californiano nelle monolitiche "So You're Afraid" e "Wish You Well", muscolose sassate sonore senza un attimo di tregua. Ma il meglio l'album riesce a darlo nelle tracce successive: il singolo promozionale "You Waster Your Time" ad esempio è un brano di grande classe con un chorus irresistibile, la pseudo ballata di porcellana "No Way Out" è chiaramente debitrice di due lustri al servizio dei Creed e va ad esaltare anche il registro più melodico ed impostato del cantato di Tremonti, mentre "Proof"- altro picco creativo della raccolta - pur progredendo in maniera molto lineare è apprezzabilissima per gli innesti melodici dei cori. Tutte le canzoni qui inserite a dire il verso sono buone e non scivolano mai in facili ruffianate (al contrario del più smaliziato Slash per esempio) e di conseguenza anche la parte finale dell'album riserba buone sorprese: dalla grungettona title track a "Doesn't Matter" che gode di un bello e vario lavoro di chittarra per arrivare alla conclusiva e metallica "Deacy", il brano più pesante del lotto e che s'avvicina non poco agli ultimi Black Label Society. 82/100
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Mark Tremonti: Voce e chitarra Anno: 2012 |