Disponibile da qualche giorno solo in formato digitale presso lo store ufficiale della band (il classico CD fisico sarà disponibile a partire dal 7 settembre), The Lord of Steel è il ritorno discografico dei sempre molto discussi Manowar, gruppo di culto assoluto per molti defender e "marchio" ormai obsoleto e patetico per molti altri.
L'ultimo album di inediti in studio del quartetto newyorkese fu Gods of War del 2007, un lavoro che accentuava il sempre più forte amore di Eric Adams e soci per sonorità più sinfoniche/orchestrali a ragione mal digerite da critica e fans - ma in generale - tutto in tutto il decennio passato i Manowar non sono riusciti a ripetere quanto di buono avevano fatto negli anni '80 e '90, sfornando un disco più incerto (e brutto) dell'altro. Fortunatamente, pur non donando niente di nuovo dal punto di vista stilistico (a partire dal titolo della release), queste dieci nuove canzoni offrono una band di nuovo alle prese con un sound più diretto e arrangiato senza troppi fronzoli, donando anche alcuni ottimi episodi come ad esempio la title track che apre il lavoro: una cavalcata dove va fatto notare l'inconsueto uso di riverbero da parte della chitarra di Karl Logan e dove non sono assenti i classici cori nel ritornello che conferiscono al pezzo il classico sound epico e monolitico. La successiva "Manowarriors", dal testo scontato (il classico richiamo metallaro al combattimento che sembra essere un proseguimento lirico della celebre "Warriors of The World") è frizzante e antemica al punto giusto, concepita per fomentare il pubblico in sede live; "Born in a Grave" offre un andazzo più cupo e sabbatico, ma nel complesso non risulta essere all'altezza delle due tracks precedenti e "Righteuos Glory" è la ballata standard di chiaro stampo manowariano piacevole ma troppo lunga e ripetitiva, nonostante la sentita intepretazione di Adams (58 primavere, ma sempre in buona forma). "Touch the Sky" ci riporta al ritmo ed a un godibile sound hard rock ben orchestrato dal basso di DeMaio, "Black List" si abbatte a rotta di collo sull'ascoltatore con il suo minaccioso intro batteristico da parte del nuovo arriato Donnie Hamzik (fin troppo proteso) ma non da mai l'idea di decollare; molto meglio allora "Expandable", episodio muscoloso e arrogante, dal buon lavoro chitarristico vario e piacevole fino al chorus. "El Gringo", già ascoltabile da mesi in una versione demo emersa online è un piacevole e "inedito" diversivo nella discografia dei Manowar: è fondamentalmente una sgaloppata western alla quale manca qualche variazione sul tema, ma resta una canzone degna di nota all'interno della raccolta. Avviandoci verso la fine della tracklist troviamo la poco riuscita "Annihilation", brano sensa ne capo ne coda come un puro riempitivo e la conclusiva "Hail, Kill and Die", altro manifesto di lotta cantato a squarciagola senza infamia senza lode: divertente ma niente più. Tutto sommato, considerando anche il recente passato del gruppo, The Lord of Steel può essere considerado un buon lavoro, discontinuo ma che offre a livello compositivo/esecutivo alcune cose davvero buone e sopratutto una discreta verve propositiva da parte dei []Manowar[/b]. Di certo siamo lontani dalla magica epicità degli anni '80 ma questo non penalizza il risultato finale: il tempo passa per tutti il combo newyorkese continua un processo musicale coerente e senza particolari compromessi commerciali; chiaramente chi non li ha mai amati non inizierà di certo adesso, ma questo lavoro è una sorta di sicurezza per i seguaci di vecchia data. Scusate se è poco. 70/100
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Joey DeMaio: Basso e tastiere Anno: 2012 |