L’enigmatica e dissonante “Social Failure” è l’apripista di “Illusory Fields Of Unconsciousness”, dove la voce di Massimo Usai (voce, chitarra e cervello della formazione) è inscatolata all’interno di solide mura sonore generate dalle chitarre sferraglianti e dai contorti incroci di feeback.
In questo ordinato caotico gioco di rimandi, un sintetizzatore di sottofondo crea costantemente un’atmosfera ridondante e misteriosa che imprigiona nervosamente l’ascoltatore, al quale sono concessi solo pochi attimi di fiato. Nel solco successivo, un accattivante riff di chitarra apre “Burnover” che si rivela essere un’ottima canzone di granitico stoner-rock, brano che non si discosta molto dalla vincente soluzione musicale adottata nella prima traccia. Già da queste due canzoni iniziali, dunque, s’intuisce chiaramente che i Recs Of The Flesh hanno suoni professionali e convincenti, ottime tecniche esecutive (specialmente per quanto concerne il drumming) e – soprattutto – uno stile maturo che gli permette di catturare facilmente l’attenzione dell’ascoltatore. Ma il nostro combo sembra non amare molto i tentennamenti e le esitazioni e non tarda quindi a presentarci subito il primo hit del loro album, “Intensive Care Unit”: un lento delirio sonoro della durata di ben sei minuti e dieci secondi, dove un basso distorto scandisce note bluseggianti immerse in una ragnatela di sibilanti feedback e rumorismi chitarristici, con solo un nitido drumming come tappeto ritmico sul quale la cacofonica voce del singer vomita tutto il suo malessere esistenziale. Ma i ritmi incalzanti della cosmica nenia malata “Getting It On” ci risvegliano dallo stato ipnotico in cui eravamo caduti a causa della traccia precedente, mentre con “Urban Tension Development Swing” – quinta traccia del disco – abbiamo un completo cambio di registro stilistico che tende ad una wave cervellotica e sofisticata. Struggente e misteriosa è la successiva “Revelations From The Self”, dove – a differenza dalle altre canzoni – la voce si libera finalmente da quell’impersonale scatola metallica in cui era imprigionata, svelandoci così una sua personale vena malinconica, che – accoppiata ai sapienti arpeggi della sei corde – tocca profondamente i nostri animi con note che diventano pura poesia, tanto da farne la seconda hit del disco. Elettrica, epilettica e furiosa suona “Friends”, settimo episodio dell’album (dove però la voce torna nuovamente nella sua “scatola” di latta), che mi ha colpito particolarmente per la sua vena drammatica e per l’incalzante parte finale arricchita dall’organo Hammond, cosa che mi ha riportato alla mente la grandezza del garage dei Sixties. Con “Not Easily Impressed” si ritorna ai suoni che hanno caratterizzato le tracce iniziali, dove – abbondantemente arricchita dal suono delle tastiere – le chitarre elettriche tornano nuovamente a ruggire. “Behave (On The Path Of The Psycho)”, torna nuovamente su sonorità più celebrali (quelle tipiche della “nuova” ondata), dove suggestivi arpeggi di chitarra tessono emozioni elettriche alimentate dal pulsante battito del basso, che come un cuore alimenta questa intrigante canzone (molto interessanti l’utilizzo dei sample nella parte finale della canzone). Tema complesso e di non facile risposta sembra essere quello trattato da “Solutions To Non Existing Problems”, dove l’inquietante voce del singer si fa strada fra schitarrate di matrice stoner-noise ed arpeggi di reminiscenze gothic-rock, mostrandoci così – ancora una volta – la camaleontica versatilità della formazione. Quasi ecclesiale quanto brevissimo è l’inizio di “Never Forget” – episodio conclusivo del disco – che a sorpresa esplode in una energica traccia che – pur mantenendo una originalità tutta sua – mi riporta gioiosamente alla mente i gloriosi Joy Division/New Order, senza però per questo alimentare ulteriormente l’innumerevole schiera di gruppi fotocopia. I Recs Of The Flesh ci hanno così condotto per mano nei complessi ed ingannevoli meandri dell'inconsapevolezza: un territorio di sapore onirico poco esplorato dai nostri animi ma che sembra ben conosciuto da questa band che li ha sapientemente riassunti in questi undici episodi (dodici, se si considera anche la traccia nascosta “Word Association”). “Illusory Fields Of Unconsciousness” è decisamente un album perfetto, scritto ed eseguito con grande maestria, frutto di un poliedrico talento che è palesemente innato nei membri di questa formazione di sapore internazionale (benché dotata di cuore italiano). Concludo con una riflessione personale: è un vero scempio che gruppi del genere non siano conosciuti da un pubblico più vasto, che al contrario sembra preferire meretrici mediali prive di qualsiasi talento artistico. 88/100
|
Massimo Usai: Vocals, guitars, signals Anno: 2008
|