U’ Papun, gruppo pugliese attivo da alcuni anni, si affaccia sulla scena nazionale con un album che a dispetto del titolo è tutt’altro che innocente anzi molto smaliziato.
Il progetto nasce da un più ampio discorso artistico che coniuga teatro e musica con la presenza, oltre ai musicisti ed il cantautore, un teatrante Francesco Tatone che nei live arricchisce con la propria presenza scenica lo spettacolo stesso. Il disco si staglia su di un vasto, anzi vastissimo repertorio che spazia dal folk, al funk passando per la ballata ed il cantautorato, ammalgamando il tutto con interessanti parti strumentali che dimostrano una notevole capacità di questo gruppo sia a livello tecnico ma soprattutto nell’affiatamento. Sin dalle primissime battute della pungente "Inutile Alchimia", un mix di rock e gusto ritmico, Alfredo Colella ci guida attraverso il proprio canto teatrale, a tratti stregonesco e graffiante, trascinandoci in questo tiratissima girandola musicale dapprima con la tanto vivace ritmica ska quanto triste nella storia “La Sposa in Nero”. Segue la folk e rockeggiante "L’Odore Delle Rose Selvatiche", brano che strizza l'occhio alle dinamiche della ballata di Faber, il tema musicale verrà poi ripreso nel finale "L’uomo Nero" che sintetizza musicalmente in tre minuti lo spirito melodico e sonoro del disco. C’è insomma tutto in questo disco, poesia, asprezza, sana cattiveria nei testi come all’elettronica "Maledettissimi Soldi" e non può mancare l'accusa sociale, nel singolo "L’Apparenza", pezzo stimolante che contesta la concezione del volgare apparire, sintomo di una realtà piatta e degenerata che si può riscontrare nelle stupide canzonette di plastica che imperversano e che purtroppo testimoniano l'esistenza di un'italietta che sta letteralmente dilagando. Qui tra l'altro fa capolino Caparezza con la sua inconfondibile ironia. Non mancano spunti più melodici come nell'intimistica "Uomo Qualunque", ballata raffinata, accompagnata da piano e contrabbasso, in cui Colella si muove verso orizzonti vocali più equilibrati. Personalmente c’è un particolare interesse per i due brani strumentali "Raga Fiori" che si delinea dapprima con sinuose movenze gitane per poi trasformarsi in un pezzo molto prog, cedente poi il passo alla sgambettante folk "Fiori Innocenti". Nella parte finale ecco prevalere notevolmente l’acredine e la mordacità del gruppo, che dapprima con "Biancaneve" funkeggiante dialogo che capovolge una visione buonista con quella di una tutt’altra che innocente Biancaneve, personaggio qui navigato che spiattella in faccia al principe una nuda e cruda realtà tutt’altro che fiabesca. Nel successivo pezzo "Giulietta" a metà tra un simpatico bee-bop ed un pezzo folk, viene invece rovesciata un’icona come quella di Romeo e Giulietta, per definizione tragica ed idilliaca, qui dipinta con tratti molto boccacceschi, che quindi spiazza letteralmente l’ascoltatore. Fiori Innocenti è senza dubbio un bel esordio per la band pugliese, che dimostra di avere molti colpi in canna da sfruttare con intelligenza, grazie sia alla padronanza di molteplici stili, che all’intensità ritmica e alla flessibilità interpretativa di Colella. 72/100
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Alfredo Colella: Voce, testi Anno: 2011 |