Passano gli anni e le generazioni, ma le leggende della scena di Seattle, i Melvins di Buzz Osborne e Dale Crover, rimangono sempre iperattivi, mai fermi produttivamente parlando e sempre con la valigia in mano. Li ritroviamo, dopo circa due anni (e a conclusione del breve tour solista di Buzz Osborne) ancora una volta in Italia, nuovamente nella forma estesa al quartetto che vede al fianco dei due fondatori i membri dei Big Business ormai diventati parte integrante della costellazione Melvins: Jared Warren al basso e Coady Willis alla batteria. A riposo il virtuoso Trevor Dunn, diventato da qualche tempo bassista della nuova formazione Melvins Lite e impegnato con John Zorn e Jamie Saft in giro per il Pianeta. Il concerto del Locomotiv si struttura in due set; nel primo il duo basso/batteria dei Big Business propone brani estratti dal proprio repertorio, molto affine allo stile Melvins, seppur caratterizzato da sezioni sempre piuttosto sostenute dal punto di vista ritmico e da un suono decisamente monolitico del basso di Warren. Nella seconda parte, si uniscono Crover e Buzz Osborne per ricomporre il quartetto che ha dato vita all’incarnazione più stabile degli ultimi dieci anni. Perché i Melvins sono questo: un gruppo difficilmente catalogabile, particolarmente aperto a collaborazioni e a sperimentazioni sonore. Il gruppo statunitense presenta molti dei brani del nuovo lavoro Hold It In, pubblicato lo scorso anno e riservano, perciò, poco spazio alla produzione più datata. Il disco è senz’altro più digeribile ed orecchiabile dal punto di vista sonoro e spazia maggiormente su fronti più squisitamente hard rock e meno sludge metal. Ne è un esempio "Onions Make the Milk Taste Bad", che apre il concerto al Locomotiv, assieme a "Bride of Crakenstein". La band dal vivo è qualcosa di devastante, un rullo compressore che investe gli ascoltatori ma, a dispetto dell'ampio ed impervio territorio musicale in cui si muove, in grado di preservare una pulizia sonora davvero notevole; Buzzo è una summa compendiaria dell'integralismo sonoro e di una profonda riluttanza verso la melodia ruffiana. Il basso di Warren è sempre possente con i suoi riff che sostengono, assieme alle due batterie, il sostrato ritmico senza però fare un uso troppo disinvolto delle distorsioni. Il fascino della sezione ritmica a due batterie è sempre alto, non c’è che dire: Coady Willis picchia come un forsennato sui tamburi, ma piace particolarmente per la dinamicità e l'affiatamento instaurato da un lungo rodaggio accanto a Dale Crover. L'impatto sonoro e visivo appare ovviamente impressionante anche se qualche perplessità su questa soluzione, ormai cristallizzata negli anni, rimane risolvendosi spesso in un "prevedibile" raddoppio delle ritmiche (vedi "Civilized Worm" o "A History Of Bad Man") che Crover era sempre apparso in grado di sorreggere fornendo maggiore agilità ed asciuttezza al suono. Una sequenza di pugni violentissimi allo stomaco, band magnetica ipnotica ed estenuante in grado di reggere il palco come pochi con riff e cadenze memorabili. Il sorprendente tutto esaurito di questa sera lascia davvero ben sperare per le sorti di certa musica per fortuna poco incline ad ogni forma di compromesso.
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Buzz Osborne: chitarra, voce Data: 30/09/2015
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