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Deep Purple
Whoosh!

Stando alle dichiarazioni di Ian Paice, rilasciate diversi mesi fa ad una rivista tedesca, il nuovo album dei Purple sarebbe dovuto uscire ad aprile per earMusic, con una tracklist composta da sette lunghi brani, cosa che faceva presagire ad una certa novità dal punto di vista squisitamente sonoro. Una successiva rettifica del drummer ha poi individuato quella del 12 giugno come data ultima di uscita.
Beh, ad oggi il disco non è ancora stato pubblicato (dal sito ufficiale, si apprende che sarà nelle nostre mani non prima del 7 agosto), ma si è saputo che non sono lunghi e sono ben tredici i brani che lo andranno a comporre (un quattordicesimo pezzo, "The Power Of The Moon", è già apparso nel singolo promozionale da pochi giorni messo in commercio). 
Ad essere precisi, lunghi, i pezzi, lo sono nella misura in cui i Deep Purple ci hanno già abituati nel tempo: la durata va dai canonici quasi 5 minuti, o poco oltre, fino ai 6-7, come usualmente fatto negli ultimi 20 anni, se non di più. 
Se tutto ciò appare piuttosto ordinario, va detto che, all'ascolto, si riscontrano parecchie novità: bridge orchestrali, a tratti sontuosi, merito di un tastierista che non la manda certo a dire, e stacchi collettivi inusualmente introspettivi e magnificamente atmosferici. In certe occasioni la band pare oggi più raccolta, maggiormente indirizzata verso l'intimismo, seppur occasionale, come peraltro hanno fatto intendere i due singoli fino ad ora divulgati, "Throw My Bones" e "Man Alive", entrambi apparsi nel 10 pollici limitato (e piuttosto costoso) poco sopra citato.
Ora, meglio partire proprio da questo singolo, sulla cui copertina campeggia un adesivo ove è riportata una dicitura piuttosto accattivante che, testualmente, recita: "Very Deep, Very Purple". Questa espressione si rifà chiaramente al motto scherzoso “Deep Purple is putting the Deep back into Purple” ("i Deep Purple stanno riportando profondità ai Purple"), coniato dai cinque in studio, notando che le prime canzoni e la produzione di Bob Ezrin stavano andando nella direzione giusta.
"Whoosh!" è la terza prova della band con il noto produttore con il quale, secondo quanto riportato sul sito ufficiale, è stato "creato l’album più versatile della loro collaborazione. La band si è aperta in tutte le direzioni, senza limitazioni, lasciando libera la propria creatività".
Beh, per una volta sono d'accordo con un comunicato stampa ufficiale: i Purple continuano a navigare in territori hard rock, ma lo fanno con il desiderio di sperimentare un tantino, alternando atmosfere più riflessive, a volte quasi floydiane, alle rocciosità tipiche di inizio anni '70, periodo dal quale, è bene ricordarlo anche ai puristi, provengono tutti i membri, inclusi i nuovi giunti.
In alcuni casi, le due sonorità sono fuse assieme, come in "The Long Way Round
" e "Remission Possible": il primo, peraltro, presenta un assolo di tastiere di Don Airey talmente sontuoso e articolato da richiamare i dischi storici degli Yes; il secondo, invece, offre protagonismi alla chitarra elettrica così freschi e funambolici che si dubita possa averli partoriti un sessantaseienne. 
Non so cosa pensate voi di Steve Morse (che, comunque, rimane il chitarrista di più lunga permanenza nei Deep Purple: 26 anni contro i 16 di Blackmore) ma io continuo ad adorarlo, anche se il suo stile è trito e ritrito (ad essere onesti, questa cosa riguardava anche il suo blasonato predecessore).
Il risultato, ancora una volta con lui alla 6 corde, è sempre convincente: il gruppo offre uno spaccato di hard rock anglosassone ampiamente rivisitato e rimaneggiato, continuando a presentare una durezza esemplare, pur non granitica, in cui virtuosismo e melodia appaiono sapientemente alternati.
Sono assolutamente certo che il suo contributo ai Deep Purple sarà ampiamente rivalutato in futuro.
E poi c'è l'ugola di Gillan che, pur senza strafare, giacché l'età è quella che è, pare abbastanza in forma.
E se da un lato, "Dancing in My Sleep" coniuga perfettamente certe sonorità sintetiche della tastiera con un riffing potente e graffiante, la strumentale "And The Adress", certamente tra i brani migliori, sembra evocare gli antichi archetipi degli esordi forgiati in "Mandrake Root" e "Wring That Neck".  
Si noti, infine, e qui la novità raggiunge l'apice, che i citati "Remission Possible" e "Man Alive", si sviluppano tra loro senza alcuna soluzione di continuità, in termini quasi di breve suite, esperimento mai tentato prima dai Purple, di qualsiasi incarnazione si parli (ed è un peccato che questa direzione si stata presa soltanto in una occasione).
Si spera soltanto che questi brani, tutti piuttosto validi, non vengano sacrificati dal vivo (ammesso che date dal vivo ci saranno mai), a favore dei classici della band, che ha poco senso vedere suonati numerosi da una formazione castrata per 2/5 da coloro che li composero. Al concerto che i Nostri tennero a Roma il 6 novembre del 2014, ennesima data del tour di "Now What?!", ebbi modo di scambiare due parole con Steve Morse: quando gli chiesi come mai non suonassero dal vivo molti dei loro brani recenti, mi rispose che la band era divisa in due: da un lato lui e Paice che premevano per proporre nuovi pezzi, dall'altro gli altri tre, che puntavano con insistenza al passato. Nel corso del successivo tour, la cui data romana, come di rito, non volli perdere, le cose non erano cambiate. 
Se ripetessero questo trend, a mio modesto avviso, questi signori sprecherebbero un'occasione per l'ennesima volta.
Morse
ha una sua ratio, nei Purple, come artista autonomo, essendo autore, dal 1994 ad oggi, di riff e assoli eccellenti. Diversamente, chiamato a coprire un setlist costituito prevalentemente da vecchi classici, rischierebbe di deludere nuovi e vecchi fans: voglio dire, se si escludono i classici storici, come "Smoke On The Water", "Highway Star", "Perfect Strangers" e pochi altri, ci starebbe proprio che la scaletta fosse attinta dal nuovo ricchissimo repertorio (sono rispettivamente 7 e 5 gli album con Morse e Airey nei ranghi: "Purpendicular", "Abandon", "Bananas", "Rapture of the Deep", "Now What?!", "Infinite" e "Whoosh!").
Quanto all'ennesimo dubbio concernente le future uscite discografiche del quintetto, è appena il caso di lasciare la parola a Roger Glover, che ha recentemente dichiarato: "I‘ve been asked a lot: Is this our last album? I remember when we did 'Now What?!' which is now what… 8 years ago? And then we did 'InFinite' and Don was asked: is this the last album? He said: I thought the last album was the last album” ("Mi è stato chiesto molte volte: questo è il nostro ultimo album? Ricordo quando abbiamo fatto 'Now What ?!', che è stato fatto quando? 8 anni fa? E poi abbiamo fatto 'Infinite' e a Don è stato chiesto: questo è l'ultimo album? E lui ha detto: pensavo che l'ultimo album fosse l'ultimo album”.



Ian Gillan: Voce
Steve Morse: Chitarra
Don Airey: Tastiere
Roger Glover: Basso
Ian Paice: Batteria

Anno: 2020
Label: earMUSIC
Genere: Hard Rock

Tracklist:
01. Throw My Bones
02. Drop the Weapon
03. We're All the Same in the Dark
04. Nothing at All
05. No Need to Shout
06. Step by Step
07. What the What
08. The Long Way Round
09. The Power of the Moon
10. Remission Possible
11. Man Alive
12. And the Address
13. Dancing in My Sleep

 

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