Francesco Piu non è certo un novellino: pubblica oggi il suo settimo album dopo aver aperto dal vivo per artisti del calibro di John Mayall, Johnny Winter, Robert Cray, The Derek Trucks Band, Joe Bonamassa, Larry Carlton, Robben Ford, Albert Lee. Le sue radici blues sono confermate nella sua settima fatica discografia, "Crossing", una piccola perla che meriterebbe maggiori riscontri.Non amo i dischi di cover, tranne nei casi in cui la rivisitazione sia caratterizzata da grande spirito di personalizzazione. E' il caso di quest'opera, capace di esaltare la tradizione blues americana del grande Robert Johnson, contaminandola, senza snaturarne la natura viscerale e sanguigna, con nuovi arrangiamenti e in taluni casi, con attento sguardo alle sonorità del nuovo millennio. In tal senso, quest'opera è talmente riuscita da far evocare con straordinaria efficacia il sapore delle radici, anche quando vi vengono proposti effetti elettronici o elementi di altre culture, cosa non certo facile. Non è neanche corretto parlare di mix tra blues e mediterraneo, come ho letto sulla rete, connubio che non farebbe onore a Francesco Piu: l'essenza di questo album rimane il blues e la sua forza sta nella capacità dell'artista di trasmettere un senso di pura incontaminazione anche quando egli opera in terini di contaminazione, previo utilizzo di strumenti e arrangiamenti tipici di altri generi musicali o di altre culture, come l'oud, il bouzuki, la slide, i ritmi tribali di stampo africano e medio orientale, l'elettronica, le launeddas e i canti tenorili sardi. Sperando di non urtare alcuno, richiamo un altro grande artista italiano che ha proposto con successo il blues nella penisola: Roberto Ciotti e Fracesco Piu evocano entrambi un concetto di blues legato alla purezza ma il primo ha rappresentato in Italia l'ala rassicurante dello specifico genere, il secondo è portavoce di una rivoluzione stilistica che guarda al futuro con immutato senso di celebrazione del passato. |
Francesco Piu Anno: 2019
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