Tutto giocato sul meccanismo del malinteso, questo "Teorema della rana", peraltro connotato da continue incursioni oltre la quarta parete da parte di un cast stratificato, spalmato su 8 attori.
Il risultato si traduce in uno spettacolo di stampo farsesco che, più che suscitare "attacchi di ilarità incontenibile per i quali non si conosce ancora la cura", come recita il comunicato stampa, offre intelligenti spunti di riflessione in ordine sia alle conseguenze del nefasto lockdown, sia alla pachidermica organizzazione del nostrano apparato burocratico, efficientissimo dove non serve, latitante dove dovrebbe intervenire. L'opera è certamente gradevole grazie alla presenza di attori dalle indubbie capacità espressive, sebbene la regia palesi una certa difficoltà a gestire la presenza, in un generale contesto di recitazione classica a vocazione chiaramente brillante, di alcuni talenti maggiormente protesi alla caricatura. Prendiamo, ad esempio, Valentina Martino Ghiglia, che interpreta un'assistente sociale così smisuratamente sensibile e melliflua da risultare quasi grottesca: la sua straordinaria capacità di estremizzare fino al paradosso connotazioni caratteriali che rasentano il bipolarismo si incunea con una certa difficoltà su un palco ove gli altri interpretano personaggi comuni, ordinari, finanche prevedibili, pur con indirizzo certamente ilare. Quanto sopra, unitamente ad una sceneggiatura priva di battute sferzanti e ad un meccanismo non perfettamente credibile - quello della truffa reiterata ai danni dello Stato, talvolta concretizzata in termini inverosimili - determina un effetto di scollamento scenico non del tutto convincente che intacca inevitabilmente l'incedere ritmico. La commedia è certamente gradevole e fa sorridere, ma la risata compulsiva, pur largamente promessa, risulta del tutto assente. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 17 novembre 2023. |
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