E' proprio vero - come afferma qualcuno nella rete - che gli Yes stanno diventando nel Regno Unito ciò che i New Trolls sono da tempo in Italia, cioè un coacervo di formazioni parallele che vanno congiuntamente in tour "a nome di''. Lo hanno fatto negli anni '80 (da un lato Anderson Bruford Wakeman Howe con Tony Levin e Jeff Berlin al basso, dall'altro i cosidetti Yes-West, detentori dello storico moniker Yes) e lo stanno rifacendo oggi: gli Yes di Steve Howe e Alan White, supportati da Jon Davison, Geoff Downes, Billy Sherwood, Jay Schellen, si contrappongono all'organico ARW (Anderson, Rabin and Wakeman), poi divenuto Yes Featuring Jon Anderson, Trevor Rabin, Rick Wakeman (ai quali si aggiungono Lou Molino III alla batteria e Lee Pomeroy e Iain Hornal al basso). E se i due gruppi degli anni '80 sembravano legittimati alla coesistenza, per tecnica esecutiva e storica appartenenza dei singoli musicisti, oggi non si può dire la stessa cosa per almeno uno dei due organici. Non serve, per demolire gli Yes, richiamare la povertà di idee espressa nel loro ultimo album in studio (lo abbiamo recensito QUI), essendo invece sufficiente rimarcare la circostanza che nell'attuale organico, nessuno dei suoi componenti è stato il membro fondatore (i più anziani sono Howe e White che hanno rispettivamente raggiunto la band al 3° e al 6° album, mentre gli altri tre - quattro se consideriamo il batterista aggiunto - sono figure assolutamente marginali nel variegato e macchinoso alternarsi di musicisti). Diverso discorso merita il quintetto che, non detenendo i diritti del nome, può richiamare la parola Yes soltanto in forma derivativa: Jon Anderson è colui che tutto ha creato; Rick Wakeman, pur essendo il secondo tastierista della band, sta agli Yes come Keith Emerson sta agli ELP; senza Trevor Rabin, infine, gli Yes, oggi, non esisterebbero, avendoli egli rilanciati negli anni '80, ancorché in forma hard. Il live qui recensito è la prova lampante che i secondi meriterebbero di fregiarsi dello storico nome ben più dei primi. Tralasciando il confronto vincente con lo scialbo Topographic Drama - Live Across America, l'album qui recensito vede la presenza di un Jon Anderson praticamente impeccabile (mangia letteralmente gli spaghetti in testa allo stucchevole Jon Davison); ha una tracklist che, perfettamente bilanciata, copre almeno tre decadi; presenta nuovi arrangiamenti (su tutti, quelli di "Awaken", qui rappresentata in vesti ancor più magniloquenti, e "Roundabout'', particolarmente coinvolgente grazie alla profusione azzeccata di assoli funambolici e virtuosistici). E ancora, possiamo finalmente sentire il riff di "Owner of a lonely heart'' senza che l'inadeguato Howe lo stupri a ripetizione, mentre ''Lift Me Up'' (dall'album ''Union'') appare qui suonata dal vivo per la prima volta, omessa da tutti i precedenti live targati Yes. Non tutto è perfetto, ovviamente: succede che, pur raramente - anzi, rarissimamente - Rabin non sembri ancora in pista, mentre Wakeman appaia divertito ma talvolta indolente; pessimi gli applausi aggiunti quà e là per condire il trasporto del pubblico; dignitosa l'esecuzione del basso in "The Fish (Schindleria Praematurus)" ma, caspita!, con tutti i brani che si potevano estrapolare dalla sterminata discografia del gruppo, proprio l'assolo del compianto Chris Squire bisognava riprodurre? |
Jon Anderson: voce, chitarra acustica, arpa, percussioni Anno: 2018 |