I Bohren & Der Club Of Gore, in una immaginaria proporzione, starebbero all'ambient come i Kayo Dot al post-rock: un gruppo che trae la propria straordinaria ispirazione da un gran numero di generi sino a dare vita ad uno stile musicale inconsueto ma chiaramente identificabile. La loro genesi del resto è analogamente singolare.
Il gruppo, fondato nel 1988, era all'epoca vistosamente influenzato da grindcore, doom e death metal, almeno sino a quattro anni dopo, quando la band decise di mutare radicalmente stile per abbracciare nella composizione quello che gli stessi membri definirono Ridden Jazz Doom. Dietro questo stile, dal nome selvaggio ed indecifrabile, si cela una sorta di ambient dalle venature jazz caratterizzato dalla presenza di sassofoni, trombe, pianoforti, xilofoni ed altri strumenti declinati appunto in chiave jazzistica cui si assommano i ritmi lenti e dilatati delle percussioni tipici del doom più greve e fosco. L'uscita dell'album Beileid rappresenta la decima fatica in poco meno di vent'anni di carriera e nelle aspettative dell'ascoltatore fa galoppare per forza di cose alcuni interrogativi. Suonerà più dark dei precedenti lavori o si caratterizzerà per una ancora più marcata lentezza delle ritmiche? Il disco si apre con un bel titolo "Zombie Never Dies (Blues)" che colpisce immediatamente per la sua semplicità, bellezza ed orchestrazione: un brano ambient magnificamente crudele, cullati da strati celesti, percussioni provenienti dagli inferi e melodie angeliche giocate sul lavoro dello xilofono, per non dire della bellezza travolgente ed inconfondibile dei fiati. Ed un filo sottile lega il brano al successivo, "Catch My Heart". Pezzo che costituisce un remake del gruppo heavy, Warlock. L'album prende adesso una china diversa, virando dalle atmosfere più ambient verso soluzioni più cristalline e di ampio respiro, grazie anche alla bella voce e alla interpretazione di Mike Patton. Del resto eravamo già a conoscenza dell'interesse di Patton per il gruppo, testimoniata anche dalla ristampa targata Ipecac dell'album Black Earth. E' sorprendente come gli oltre tredici minuti del pezzo scorrano alla velocità della luce, assorbiti ed ipnotizzati dal fascino del brano e dalla voce accattivante dell'americano. Siamo davvero ad una distanza siderale dalla matrice originaria della ballad concepita dal gruppo heavy. L'opera è stata ben congegnata, proponendo un lavoro di facile accesso che attraverso i suoi circa trentacinque minuti, ci terrà sospesi sino all'ultima nota. Ma c'è ancora una traccia, quella che dà il titolo all'album: "Beileid". Il titolo prosegue idealmente i primi due ma riportando con se questa volta (e finalmente?) a galla il lato più oscuro e angosciante dei Bohren & Der Club Of Gore, il loro imprimatur. I Bohren & Der Club Of Gore rimangono tali in definitiva, ma questa volta introducono una cura melodica che era meno spiccata in precedenza. Un altro buon album che evidenzia una volta di più la difficoltà di circoscrivere la sfera musicale di questi bravi artisti. 73/100
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Thorsten Bennings: Batteria Anno: 2011 Sul web: |