Parlare dei Twenty Four Hours significa fare un balzo all’indietro di oltre 30 anni. Si, perché la band si formò nel 1985 e nel gennaio 1991 pubblicò (autoproducendosi ) il primo LP dal titolo “The smell of the rainy air”.
Seguirono altri 3 lavori a cadenza abbastanza regolare (perlomeno per i canoni prog dagli anni ’80 in avanti ) e cioè “Intolerance” (1994), “Oval dreams” (1999) e “The sleepseller” (2004) oltre ad una raccolta di brani inediti, “Before and after the boundary” ( nel 2008). Ora, nel 2016, sempre guidati dai fratelli Lippe (Marco, batteria e voce; e Paolo, voce e tastiere ) con Antonio Paparelli alla chitarra ( presenza lungo datata anche la sua ) e la new entry Paolo Sarcinelli al basso, pubblicano il concept “Left–to-live” per la francese Musea records. Maestri, sin dagli esordi, nel creare atmosfere che miscelano progressive e psichedelica, i Twenty Four Hours, non si smentiscono nel nuovo lavoro e confezionano un album dagli importanti contenuti sociali. Il tema del concept è la non piacevole situazione del nostro tempo tra genocidi, bombe (presunte) intelligenti, bullismo, violenze ai bambini colpevoli di…nulla. Quali ricordi potrebbero riaffiorare tra gli uomini sapendo che rimarrebbero solo 24 ore di vita? Domanda alla quale la band risponde con 12 tracce per circa un’ora di musica. Ombre dark definiscono i contorni di “Soccer killer” che ricorda il dramma dei ragazzini iracheni uccisi dall’Isis per aver guardato una partita di calcio in TV. “Sister never born” ci ricorda l’anima psichedelica della band veramente coinvolgente. “That old house” è una malinconica ballata elettro-acustica ben interpretata da Paolo Lippe. “SPLASH”, l’unico brano interamente strumentale, è il risultato di un breve “flirt” con la musica elettronica. Dal gusto vintage “Ground # -3“ una esplicita denuncia dell’utilizzo dei bimbi-bomba. Gradevolissima e dal ritornello ammiccante “Magic” , l’ennesima conferma che anche la semplicità può essere appagante. La funkeggiante “The big sleep” con la sua lisergica breve sezione strumentale è un’altra sfaccettatura del sound dei Twenty Four Hours. La tenue e sussurrata “Under my pillow” è un ulteriore pezzo di bravura con le tastiere in sottofondo a conferire una vena malinconica alla composizione. Una rockeggiante love song “Upkeep for your love”, un omaggio (nel titolo) ai Genesis in “Perfect crime” e qualche ricordo, velato, ai Porcupine Tree in “My friend, I want to kill you” chiudono l’album. Un lavoro che premia le capacità di una band che senza effetti speciali sa coinvolgere l’ascoltatore con la sua miscela di progressive, psichedelia ed un pizzico di pop di classe. Un gradito ritorno e la speranza che non si debba aspettare troppi anni ancora prima di risentire parlare dei Twenty Four Hours.
Tracklist: |