I Blackfield sono stati sempre l’anima più pop e melodica di Steven Wilson, sin dal primo ed omonimo lavoro del 2004, ma i mille impegni dell’artista inglese, lo stanno portando a mettere da parte sia i suoi Porcupine Tree, che questo progetto che lo vede impegnato con l’artista israeliano Aviv Geffen. Già con il precedente “Welcome To My D.N.A.”, Wilson ha dato sempre più spazio a Geffen nel ruolo di leader della band ed in quest’ultimo lavoro, Blackfield IV, Wilson rimane molto nell’ombra e lascia quasi completamente le redini della band a Geffen. Una scelta non proprio positiva a mio avviso, perché i brani risultano spesso assai scontati e più orientati verso un pop per fortuna “intelligente”, ma che è privo della genialità di Steven Wilson. Blackfield IV sembra poi un disco creato di fretta, molto breve e privo di spunti veramente interessanti. “Pills” è il primo brano e molto interessante, anche perché ha un sound che ci riporta ai Porcupine Tree e “Springtime” è più moderno, arioso e sinfonico. In “XRay”, c’è un gradito ospite, ovvero Vincent Cavanagh degli Anathema alla voce, che però non riesce a far decollare un brano fin troppo pop, così come lo è anche il successivo “Sense Of Insanity”. Le cose migliorano, poco, in “Firefly”, con un altro gradito ospite alla voce, Brett Anderson degli Suede e “The Only Fool Is Me” è lento e sinfonico, ma fin troppo breve per permettere all’altro ospite, Jonathan Donahue dei Mercuri Rev, di compiere il miracolo. In “Jupiter” e “Kissed By The Devil” ci sono echi beatlesiani e con “Lost Souls” si tocca il fondo, un pop alquanto scialbo. Ci si risolleva nel finale con la lenta “Faking” e con un sound un po’ elettronico alla Massive Attack in “After The Rain”. Logicamente ci troviamo di fronte a musica ugualmente raffinata e difficilmente banale, ma se paragonato a ciò che hanno fatto i Blackfield fino ad oggi, questa nuova fatica è sicuramente classificata all’ultimo posto!
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