Cos'è che spinga, dopo oltre 40 anni di carriera, un gruppo come gli Hawkind (che non credo ormai abbiano bisogno di grosse premesse presentative) ad incidere ancora dei dischi in studio che solo in pochi ascolteranno non è dato sapersi, ma quello che è lecito e doveroso dire invece, è che la banda capitanata dal mai domo Dave Brock riesce ancora a sprigionare quella suggestiva e spaziale forza musicale come se al posto di attempati ultra sessantenni, ci fossero dei giovani musicisti vogliosi di sperimentare suoni proveniente da altri pianeti. Essi, perchè Onward, che arriva a due anni di distanza dal bellissimo Blood Of The Heart, conferma come il quintetto inglese riesca ancora ad elargire quelle atmosfere "aliene" ma sopratutto "alienanti" che resero gli Hawkwind uno dei gruppi più originali e solidi della musica rock britannica dei primi anni '70. Non c'è un nuovo aggettivo da coniare per l'occasione per descrivere le 18 tracce che sono incluse in questo disco, Onward prosegue coerente e senza novità (per fortuna) un discorso aperto più di 4 decadi fa senza smussare minimamente gli angoli, regalandoci cosi altri 81 minuti di musica di altissimo livello cosmico. Aldilà quindi di qualsiasi analisi introduttiva, il disco è un ottimo frullatore di suoni hard e space rock (emblematica la traccia d'apertura "Seasons") senza dimenticare però l'appeal melodico e le divagazioni elettroniche da sempre catalizzatore della loro proposta. "The Hills Have Ears" dopo un'introduzione di synth progredisce come una cavalcata tra un roccioso riff di chitarra ed una martellanze sezione ritmica, mentre in netta contrapposizione "Mind Cut" è una squisita ballata elettro/acustica pop da "hippie tardoni", che palesa anche la bravura della band nel comporre brani più rilassati. Al disco non mancano di certo nemmeno i caratterizzanti brani strumentali che tanta fortuna hanno portato al gruppo di Ladbroke Grove, come "The Drive By", dove elettronica e dance si incontrano passionalmente e il capolavoro tribale "Southern Cross", che affascina per le tastiere prog, le percussioni afro e le chitarre liquide: una vera gemma. Tutta la seconda parte della tracklist regge bene, seppur con qualche piccolo calo, ma episodi come il rock antemico di "Right To Decide" (una sorte di filastrocca da stadio) e la conclusiva e caotica "." tengono alta l'attenzione dell'ascoltatore. Concludendo, Onward è un disco che niente aggiunge ma niente toglie alla sterminata discografia degli Hawkwind: è semplicemente un'album di grande qualità pieno zeppo di belle canzoni che proseguono una tradizione space rock un pò perduta (gli unici eredi credibili rimasti - a parere del sottoscritto - sono i Motorpsycho) nelle produzioni moderne, ma che palese come certe attitudini compositive, erano all'epoca all'avanguardia ed oggi tutt'altro che obsolete.
80/100
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Dave Brock: Chitarra, tastiere e voce Guests: Anno: 2012 |