Sono cambiate molte cose in casa Parts & Labor a solo un anno di distanza da quel mezzo capolavoro che è stato Mapmaker, album che ha consacrato la band di Brooklin a nuovo fenomeno rock alternative internazionale.
Innanzitutto da terzetto, il combo è diventato un quartetto: infatti da qualche mese è nel giro anche la bella Sarah Lipstate, che dopo aver accompagnato Friel e soci in tour, è entrata in pianta stabile nelle vesti di chitarrista e tastierista. Consequenzialmente a questo inserimento, il suono dei Parts & Labor è diventato meno spigoloso e furioso (sta all’ascoltatore poi decidere, quanto abbia influito la nuova presenza, noi ipotizziamo), per far spazio ad un synth pop\rock più ragionato e melodico, che porta il risultato finale verso un prodotto meno fresco e urgente dal punto di vista propositivo. Sia chiaro, qui parliamo di un gruppo ancora notevole e capace di confezionare canzoni sempre molto convincenti e piene anche con questo nuovo full lenght, solo che Mapmaker ci aveva abituato a soluzioni così acrobatiche e virtuose, che vien da pensare che questa loro quarta prova in studio sia l’inizio di un nuovo percorso artistico. Nonostante tutto, “Satellites” si muove ancora parzialmente verso i vecchi binari, mentre già la successiva e bellissima “Nowheres Nigh” accentua un refrain irresistibile, ma di chiaro stampo pop. “Mount Misery” lavora molto sulle distorsioni di chitarra (con tanto di accompagnamento ritmico della Lipstate molto incisivo) e su un tappeto flebile di note a flusso continuo, dove però mancano spunti e accelerazioni che solo 12 mesi fa probabilmente avrebbero reso questo pezzo una gemma. Perso di vista Joe Wong, che spesso si riduce al mero accompagnamento (sentire “The Ceasing Now”, che se fosse durata la metà sarebbe stata anche interessante), va detto che l’altra parte della ritmica, cioè il basso Warshaw spesso pare proprio scomparire dalla scena, sommerso dalle cascate di synth che spesso ridicolizza le abilità tecniche dei nostri. La voce di Dan Friel invece è sempre evocativa e trascinante, come nel bel ritornello di “Wedding In A Westland”, che precede la psichedelica, sognante ed eterea “Prefix Free”. Chiude la raccolta “Solemn Show World”, scheggia post-punk che trova il suo apice nel caotico finale, con la sovrapposizione di tutta la strumentazione della band: dal muro delle due chitarre passando alle incalzanti tastiere arrivando agli inserimenti di synth (questa volta azzeccatissimi). In pratica, questo Receivers risulta come un lavoro di transizione (quanto meno questa è la speranza), dove il gruppo ha cercato un’affinità compositiva col nuovo membro sfavorendo l’attitudine casinista degli esordi perfettamente espressa nel più volte citato Mapmaker (non l’avete ancora sentito? Cosa aspettate?) permeando la loro proposta di suoni sì più variegati ma che spesso finiscono per perdere l’effetto sorpresa. Un buon disco, ma questo è il problema. Da loro, ci aspettiamo di più. 70/100
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Dan Friel: Voce, tastiere e chitarre Anno: 2008 |