Un album concept che si può considerare il seguito di “Chronometree” del 2000. Tom, il protagonista, ormai adulto ha la sua band e con essa compie un viaggio a ritroso nel tempo sino agli anni settanta. L’assenza di Shikoh(sostituito in studio da Schendel e da alcuni ospiti) si fa sentire parecchio ed il suo “tocco” nonché l’innegabile gusto sono una mancanza non da poco nell’economia del nuovo lavoro. “Chronomonaut” si dipana in 12 tracce per circa 70 minuti di durata e vede,tra gli altri, la presenza di Matthew Parmenter (voce dei Discipline) e Chris Herin (chitarrista dello stesso gruppo). Malgrado ciò il disco lascia più di una perplessità e davvero pochi sono i brani di valore. Eppure l’inizio è abbastanza promettente con la breve “The land of lost content” che, introdotta dalle note del piano, diviene ben presto un tipico brano à la Glass Hammer con il basso pulsante di Babb e le ricche tastiere di Schendel. L’atipica “Roll for initiative” è un altro bel brano ed il gruppo si concede al meglio delle proprie possibilità con, in aggiunta, una dose massiccia di fiati. Ottimo il cantato di Patton Locke e buono il tessuto melodico. Appena gradevole “Twilight of the Godz” interpretata da Susie Bogdanowicz, con un ritornello piacevole, ma senza grossi ulteriori sussulti. Valida, per contro, “The past is past” con il sax ad aprire il brano e la splendida voce di Parmenter a fare il resto con i suoi sentori hammilliani/vandergraffiani. Poi la qualità cala bruscamente. Un’anonima ballad, “1980 something”; una scialba “A hole in the sky” dal ritornello insipido e banale; un interlocutorio strumentale pseudo-elettronico, “Clockwork” ed un appena passabile brano d’atmosfera come “Melancholy holiday” peraltro ben interpretato dalla Bogdanowicz. Fortunatamente segue l’ottima “It always burns sideways”, strumentale che evidenzia, finalmente, tutte le capacità del gruppo nel costruire incastri raffinati, ma anche potenti in pieno Yes-style. “Blinding light”, riporta ai Glass Hammer che conosciamo con, in più, una spruzzata fusion ed ancora i fiati protagonisti. Segue un altro breve strumentale “cosmico”, “Tangerine meme”, che lascia poche tracce e, per finire, “Fade away”. Discreto brano, lontano dalla migliore produzione del gruppo, conBogdanowicz, Parmenter e Locke a scambiarsi il microfono ed a chiudere la vicenda di Tom, il “Chronomonaut”. Un album abbastanza atipico per la produzione targata Glass Hammer con qualche buono spunto (“The land of lost content”, “Roll for initiative”, “The past is past”, “Blinding light”), un ottimo strumentale (“It always burns sideways”), ma anche tanti, troppi pezzi opachi e di scarso appeal. Nel complesso una sufficienza. Di stima. |
Susie Bogdanowicz / lead vocals
Anno: 2018 |