Arrivato a coprire cinque decadi di musica, Al Di Meola continua ad offrirsi al suo pubblico con frequenza altalenante e con incisioni che, seppur lontane dagli antichi fasti, si lasciano ascoltare con piacere. Lasciatosi alle spalle le sue oramai lontane incursioni nel Flamenco e nell’Hard rock, quelle che per inciso gli hanno dato la notorietà, si è oramai abbandonato da diversi anni nelle comode braccia della Fusion più morbida, quella che viene etichettata come “smooth”, a volte sfiorata da qualche accenno etnico o addirittura sinfonico. Anche Opus non si sottrae alle regole comuni alle sue ultime incisioni e le undici tracce di cui si compone, mostrano come sempre Al a suo perfetto agio sia con la chitarra acustica che con quella elettrica e purtroppo, a mio malincuore, sempre più intestardito nell’uso delle percussioni, con qualche discutibile, impacciato e stucchevole ritmo latino-americano, auto-accompagnandosi nei suoi arzigogolati intrecci chitarristici, che forse avrebbero meritato la mano, come in passato, di qualche vero percussionista di mestiere. In Opus si trovano fin troppi elementi (sonorità, chiusure, atmosfere) comuni ai suoi precedenti album, che non favoriscono certo l’ascolto a chi conosce già tutta la sua discografia. Non per questo Opus è un cattivo album: in pochi suonano la chitarra come Di Meola e a prescindere dalle sue indiscutibili doti virtuosistiche, le sue composizioni sono comunque valide ed ascoltabili ben oltre il limite della mera sufficienza. Come già fatto in passato, Di Meola ci ha tenuto in questa incisione a rimarcare le sue origini campane e per la precisione di Cerreto Sannita, paesino del beneventano nel quale si è recato di recente per ricevere anche la cittadinanza onoraria. A Cerreto Sannita è infatti intitolata la traccia n.4 sottotitolata da egli stesso in copertina come “My grandfather’s village near Napoli”, città alla quale spesso (nelle altre incisioni e anche dal vivo) tende ad associare le sue origini, per ovvie ragioni di notorietà geografica universale. Tra li brani che compongono Opus, spicca per incisività “Notorius”, da egli stesso ispirata ad un ipotetico incontro, artistico ovviamente, tra la sua musica e quella dei Led Zeppelin. Per il resto, l’incisione fluisce morbida e senza particolari scossoni. Con il passare degli anni non credo che Opus resterà tra le pietre miliari della sua produzione discografica, ma resta comunque una buona incisione adatta a tenere viva la passione per questo grande artista e sufficientemente interessante per chi è alla ricerca di un discreto disco di sottofondo con una chitarra sempre protagonista.
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Al Di Meola: Chitarra, percussioni
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